PUBBLICITÁ

La paura invisibile

Marianna Rizzini

Roma e il virus, e l’emergenza che non c’è ma è come se ci fosse (al contrario delle suppletive)

PUBBLICITÁ

Roma. L’emergenza non c’è, dice il sindaco Virginia Raggi, parlando in Campidoglio di Coronavirus. L’attenzione è alta, aggiunge. E però l’emergenza è come se corresse sottopelle, con un’inquietudine strisciante pronta a esplodere. Tanti piccoli indizi portano alla prova: il panico che nessuno dichiara e vuole è già in parte elemento del contesto, anche se frenato (e magari, si spera, reversibile, se la gestione e narrazione della crisi sanitaria lo consentiranno). A Roma le scuole sono aperte, Roma non è chiusa per virus, nel Lazio ci sono, sì, famiglie in quarantena, ma sono quelle auto-segnalatesi per essere state al Nord nelle zone rosse: le parole tranquillizzano, e però è come se Roma si preparasse in sordina all’eventualità da scongiurare, e intanto si sentisse anche un po' Milano, ma senza farsi notare e quasi vergognandosene. O, al contrario, ostentando l’atteggiamento di intransigenza preventiva, come il signore che in autobus (testimonianza del cronista) sente un bambino emettere un lieve colpo di tosse e intima alla madre di scendere, ché “io non devo ammalarmi per voi”, o come l’altro signore che, dal tabaccaio, borbotta e dice “non poteva starsene a casa?” quando una signora estrae dalla borsa un pacchetto di fazzoletti, e pazienza se il fazzoletto serviva soltanto a cancellare la macchia di rossetto.

 

C’è chi, da qualche giorno, senza fare proclami, si confina in casa dopo le ore di ufficio disdicendo tutti gli appuntamenti, ma con grande evasività, per poi spiegare, su insistenza degli amici, che in effetti non è sopraggiunto un contrattempo, ma di andare a mangiare o bere una cosa in un posto chiuso per il momento “non se la sente”. C’è la nuova abitudine di spalancare in continuazione la finestra negli uffici – al primo schiarirsi di voce di qualcuno ecco che il vetro si apre – e c’è la chat-genitori della scuola elementare stranamente silente sul tema, come se ci si trattenesse, solo che poi oltre lo schermo del cellulare non si parla d’altro. C’è il cinefilo che biasima la cancellazione delle ultime uscite-film, salvo poi dirsi contento di non doversi recare in sala venerdì sera, accampando la stanchezza come scusa; c’è il viveur che da qualche giorno non racconta le ultime serate ma si dichiara “in fase detox”, mentre il maniaco del weekend non annuncia l’acquisto del solito ultimo volo last minute ma la “due giorni di riposo”. Soprattutto, c’è la vita normale che è normale soltanto in apparenza, ché impercettibilmente tutto è cambiato, e anche senza dirlo tutti fanno i conti, organizzativi e psicologici, con la non-emergenza che ha un’invisibile margine di emergenza. E il resto? Sospeso o non pervenuto. E pensare che sempre qui, tra pochi giorni, il primo marzo, si vota pure per le elezioni suppletive (che ci sono, ma improvvisamente è come se non ci fossero).

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ