Milano di carta
Per una “guida letteraria alla città” c’è voluto un editore di Palermo e un giovane editor. Con mappa allegata
Perché di antologia si tratta. Sono pagine e spezzoni di racconti belli da leggere anche così, anche se state a Novara. Ci sono Hemingway e Alda Merini, Bianciardi e Vittorini, Scerbanenco e Buzzati. Qualche milanese vero, i più di passaggio, o immigrati, nella città dell’immigrazione. Autori del Novecento. “Non ho avuto fretta di comprenderla – scrive Turazzi nella sua breve introduzione, raccontando di quando arrivò, solo tredici anni fa – ho assecondato la sua ritrosia nordica e il suo orrore nei confronti di tutto ciò che è esibito, eccessivo. Ho apprezzato il suo farsi sfondo discreto e, allo stesso tempo, la sensazione che qui tutto possa succedere e che ogni cosa accada soltanto per te”.
Chissà se davvero è lo stesso effetto che fece a Hemingway, una pausa o una tregua o un’epifania inattesa lontana appena qualche centinaio di chilometro dal fronte della Prima guerra mondiale, dall’Europa esplosa in frantumi. La Milano di “Addio alle armi”. “Parti domattina, pupo, disse Rinaldi. Per Roma, dissi. No, per Milano, disse il maggiore. Il Palazzo di Cristallo, il Cova, il Campari, il Biffi, la Galleria. Fortunato”. Nel 1918 Hemingway fu ricoverato, ferito sul Piave, in un palazzotto di via Armorari, a due passi dal Duomo, trasformato in ospedale della Croce Rossa americana. Le passeggiate dei suoi personaggi per le vie attorno, la scoperta nella nebbia della piazza, “quando vi arrivammo vicino, la facciata della cattedrale enorme e la pietra bagnata” sono ormai un classico, e i primi topos, la prima geografia letteraria della guida. Poi c’è la Brera destinata ad essere agra del toscano Biancardi, coi pittori e i giocatori di pelota di questa bohème durata decenni uguale a se stessa.
Ma i percorsi più intriganti sono quelli che si allontanano dal conosciuto, come la Porta Comasina di Dino Buzzati, i suoi passi perduti attorno al Palazzo di via Solferino. E c’è la Milano da hard boiled story di Giorgio Scerbanenco, che scrutava lontano, fuori i confini tracciati dai quartieri storici, via Eustachi, viale Abruzzi, Lambrate “C’è qualcuno che non ha ancora capito che Milano è una grande città… Se uno dice Marsiglia, Chicago, Parigi, quelle si che sono metropoli, con tanti delinquenti dentro, ma Milano no, a qualche stupido non dà la sensazione della grande città”. E invece era già la metropoli (allargata) da quasi due milioni di abitanti, della criminalità dura e pura. E Scerbanenco è il nume tutelare di tutta le “Milano calibro 9” letterarie che verranno.
Ci sono i quartieri borghesi di Gadda e quelli popolari di Testori, e l’odore inquieto dei Navigli di Alda Merini, ovviamente. E tanti altri percorsi che, se li fate adesso, nonostante tutto li riconoscereste ancora. Ma è una delizia la Milano minore di una piemontese come Lalla Romano, che arrivò dopo la guerra per seguire il marito, e fa balenare nei suoi libri la città meno conosciuta di Paolo Sarpi, “questa stradona di paese dove non c’era niente che non trovavi”, del Monumentale. Ma ci si perde davvero, in questi meandri di scrittura. La cartina allegata, è il miglior vademecum.