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Milano di carta

Maurizio Crippa

Per una “guida letteraria alla città” c’è voluto un editore di Palermo e un giovane editor. Con mappa allegata

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Città editoriale per antonomasia, ogni tanto Milano si fa bagnare il naso sul suo stesso terreno, quello della sua filigrana letteraria, fatta di passi camminate luoghi e racconti dei suoi poeti e scrittori. Oppure dei suoi ospiti letterati illustri, ognuno col suo dedalo di fascinazione per la “città a forma di cerchio”. Così è un piccolo e brillante editore di Palermo, Il Palindromo, ad aver da poco pubblicato un delizioso percorso milanese, scoperta o riscoperta, che si intitola “Milano di carta – Guida letteraria alla città”. Va bene, trattasi di una collana, di cui sono già usciti nel tempo la Roma e la Palermo e la Catania sempre di carta. Ma ci hanno pensato loro. Va bene, l’autore del viaggio si chiama Michele Turazzi è giovane e milanese (anche se è nato a Treviso), lavora nell’editoria e per La Balena Bianca, che è rivista culturale online interessante. Ma insomma l’idea arriva da Palermo, e nella tasca del risvolto di quarta trovate proprio anche una bella cartina che vi indica i luoghi citati dagli autori antologizzati nel volume. La primavera s’è messa al bello e c’è il ponte lungo, per chi rimane in città può essere l’idea per una caccia al tesoro.

  

Perché di antologia si tratta. Sono pagine e spezzoni di racconti belli da leggere anche così, anche se state a Novara. Ci sono Hemingway e Alda Merini, Bianciardi e Vittorini, Scerbanenco e Buzzati. Qualche milanese vero, i più di passaggio, o immigrati, nella città dell’immigrazione. Autori del Novecento. “Non ho avuto fretta di comprenderla – scrive Turazzi nella sua breve introduzione, raccontando di quando arrivò, solo tredici anni fa – ho assecondato la sua ritrosia nordica e il suo orrore nei confronti di tutto ciò che è esibito, eccessivo. Ho apprezzato il suo farsi sfondo discreto e, allo stesso tempo, la sensazione che qui tutto possa succedere e che ogni cosa accada soltanto per te”.

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Chissà se davvero è lo stesso effetto che fece a Hemingway, una pausa o una tregua o un’epifania inattesa lontana appena qualche centinaio di chilometro dal fronte della Prima guerra mondiale, dall’Europa esplosa in frantumi. La Milano di “Addio alle armi”. “Parti domattina, pupo, disse Rinaldi. Per Roma, dissi. No, per Milano, disse il maggiore. Il Palazzo di Cristallo, il Cova, il Campari, il Biffi, la Galleria. Fortunato”. Nel 1918 Hemingway fu ricoverato, ferito sul Piave, in un palazzotto di via Armorari, a due passi dal Duomo, trasformato in ospedale della Croce Rossa americana. Le passeggiate dei suoi personaggi per le vie attorno, la scoperta nella nebbia della piazza, “quando vi arrivammo vicino, la facciata della cattedrale enorme e la pietra bagnata” sono ormai un classico, e i primi topos, la prima geografia letteraria della guida. Poi c’è la Brera destinata ad essere agra del toscano Biancardi, coi pittori e i giocatori di pelota di questa bohème durata decenni uguale a se stessa.

  

Ma i percorsi più intriganti sono quelli che si allontanano dal conosciuto, come la Porta Comasina di Dino Buzzati, i suoi passi perduti attorno al Palazzo di via Solferino. E c’è la Milano da hard boiled story di Giorgio Scerbanenco, che scrutava lontano, fuori i confini tracciati dai quartieri storici, via Eustachi, viale Abruzzi, Lambrate “C’è qualcuno che non ha ancora capito che Milano è una grande città… Se uno dice Marsiglia, Chicago, Parigi, quelle si che sono metropoli, con tanti delinquenti dentro, ma Milano no, a qualche stupido non dà la sensazione della grande città”. E invece era già la metropoli (allargata) da quasi due milioni di abitanti, della criminalità dura e pura. E Scerbanenco è il nume tutelare di tutta le “Milano calibro 9” letterarie che verranno.

   

Ci sono i quartieri borghesi di Gadda e quelli popolari di Testori, e l’odore inquieto dei Navigli di Alda Merini, ovviamente. E tanti altri percorsi che, se li fate adesso, nonostante tutto li riconoscereste ancora. Ma è una delizia la Milano minore di una piemontese come Lalla Romano, che arrivò dopo la guerra per seguire il marito, e fa balenare nei suoi libri la città meno conosciuta di Paolo Sarpi, “questa stradona di paese dove non c’era niente che non trovavi”, del Monumentale. Ma ci si perde davvero, in questi meandri di scrittura. La cartina allegata, è il miglior vademecum.

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