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Il nuovo posto per il capolavoro di Mantegna a Brera. Un museo che cambia (altro che benecomunisti)

Maurizio Crippa
Il Cristo morto troneggia lì, quasi a chiudere il cammino, nella nuova collocazione che ha debuttato giovedì, voluta da James Bradburne, il direttore anglo-canadese che da un anno sta trasformando da cima a fondo Brera.
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Il nuovo colore blu intenso alle pareti della lunga sala rettangolare finalmente offre la sensazione di camminare in un grande museo, moderno. In fondo al rettangolo blu, a prendersi tutto lo sguardo, l’opera più preziosa – o almeno la più suggestiva, e dalla storia misteriosa – della Pinacoteca di Brera: il Cristo “de scurtu”, di scorcio, di Mantegna. Il Cristo morto troneggia lì, quasi a chiudere il cammino, nella nuova collocazione che ha debuttato giovedì, voluta da James Bradburne, il direttore anglo-canadese che da un anno sta trasformando da cima a fondo Brera. Bradburne, seguendo i consigli di Giovanni Agosti, grande studioso di Mantegna e docente alla Statale, ha rimesso il Cristo morto in una posizione perfettamente fruibile per il grande pubblico, dopo che nel 2013 la sovrintendente Sandrina Bandera aveva affidato a Ermanno Olmi la responsabilità di creare una nuova modalità espositiva. Il regista bergamasco, animo religioso e profeta di un’arte povere e aliena da ogni superflua ostentazione, aveva fatto rimuovere l’antica cornice, aveva fatto posizionare il quadro quasi per terra (il punto di vista “naturale” da cui si sarebbe dovuto guardare il cadavere) e l’aveva sepolto in una sorta di cappella con le pareti nere. La sua idea di un quadro “da guardare quasi in ginocchio” aveva suscitato perplessità e numerose critiche. A creare l’evento attorno al nuovo allestimento c’è l’esposizione temporanea di due altri quadri, discendenti diretti del capolavoro di Mantegna, un Cristo morto con gli strumenti della passione di Annibale Carracci e un Compianto di Orazio Borgianni. Se siete in cerca di una scusa per non andare a votare al ballottaggio, l’avete trovata.

 

La nuova esposizione del Cristo “de scurto” è una buona occasione per notare che la riforma dei musei voluta da Dario Franceschini, tanto deprecata dai benecomunisti alla Salvatore Settis, invece funziona. Quando Bradburne arrivò a Milano un anno fa (non un  marziano: aveva diretto dal 2006 la Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze), la sua e le altre nomine nei grandi musei furono bollate come un banale “colpo di immagine”. Lo storico dell’arte Tomaso Montanari parlò addirittura di uno “schiaffo” all’amministrazione dei Beni culturali: “Mi pare ci sia un’enorme sproporzione tra la qualità media delle soluzioni scelte e i trionfalistici annunci di rivoluzione del ministro”. Brera, per la ricchezza dell’arte italiana, è secondo solo agli Uffizi. Ma è un museo sottovalutato, quasi invisibile, con meno di 300 mila visitatori l’anno. Bradburne da quando è arrivato ripete la sua parola d’ordine: “Riportare Brera nel cuore di Milano e riportare i visitatori nel cuore del museo”. Ci sta riuscendo, pur nei meandri della burocrazia dei grandi musei di stato. In un anno è cambiata la sistemazione delle sale più importanti, l’ingresso e la struttura del percorso, c’è un nuovo sito web e servizi ai visitatori, le iniziative speciali come questa su Mantegna stanno guadagnando ingressi. Entro il 2018 dovrebbe inoltre essere pronto il trasloco con nuovo allestimento a a Palazzo Citterio della ricchissima collezione d’arte del ventesimo secolo. Uno “schiaffo” ai conservatori dell’arte.

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