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il caso

Ora i ritardi italiani sul Pnrr diventano un caso a Bruxelles

Valerio Valentini

Un report del Parlamento europeo certifica le anomalie dell'Italia sulla modifica del Piano e sulla richiesta vaga di prestiti per il RePowerEu. L'insofferenza di Fitto, che prepara la sua difesa nella relazione semestrale da inviare alle Camere (in ritardo pure quella)

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Lui lamenta una mancanza di equanimità, ritiene “surreali” le pretese di chi, a Bruxelles, fa confronti tra il Pnrr italiano e gli analoghi piani  di Francia e Germania. Loro, cioè i funzionari della Commissione europea, iniziano a loro volta a spazientirsi davvero, forse esibendo un fastidio finora sempre trattenuto, ma lasciando che a parlare sia la cruda essenzialità dei documenti ufficiali. Come quello di un report elaborato due giorni fa dal Parlamento europeo, e in particolare di una tabella emblematica. Riguarda il RePowerEu, il capitolo aggiuntivo ai piani nazionali di riforme da dedicare alla crisi energetica, e su cui i vari stati membri devono presentare in queste settimane le loro richieste alla Commissione. Ebbene, l’Italia è l’unica a figurare, tra i 15 paesi presi in esame, in ritardo con le comunicazioni a Bruxelles.


Nella tabella ci sono infatti elencati i paesi che hanno prenotato – come previsto dai regolamenti comunitari – una ulteriore concessione di prestiti agevolati da parte della Commissione per i RePower nazionali, e la cifra esatta richiesta. Poi ci sono i paesi che hanno preferito non avvalersi di questo strumento. E quindi, in una categoria a parte, la sola Italia: che figura, sì, tra i paesi che hanno espresso intenzione di ricorrere a nuovi loans, ma che non ha specificato quanto le occorre per finanziare il proprio Piano. E infatti, segnato in rosso, c’è indicata la dicitura: “Not specified”. La stessa anomalia, d’altronde, segnalata da Valdis Dombrovskis, il 17 aprile scorso. Un appunto, quello fatto dal vicepresidente della Commissione  durante una sua audizione al Parlamento europeo, che voleva suonare come uno sprone  verso Palazzo Chigi. Oltre un mese dopo, la stranezza italiana è ancora lì, scolpita in un documento ufficiale che l’assemblea di Bruxelles ha diramato due giorni fa.


Fitto punta i piedi, ovviamente. E anzi lamenta la “disonestà intellettuale” di chi, in Italia e non solo, fa “paragoni impropri”: quello con la Germania che le sue richieste di modifica del Piano nazionale di riforme le ha avanzate (e ottenute) nel dicembre scorso, o quello con la Francia, che ha completato la stessa procedura a metà aprile, il tutto senza tenere conto che il Piano di Berlino vale 29 miliardi appena, il France Relance di Macron circa 40, un’inezia rispetto ai 190 miliardi promessi all’Italia.

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Eppure, se anche fossero azzardati questi accostamenti, c’è da dire che  paragoni scombiccherati, nelle scorse settimane, sono stati offerti dagli stessi esponenti del governo di destra quando lamentavano “l’eccessiva richiesta di prestiti da parte di Giuseppe Conte e Mario Draghi”, esortando a prendere invece a modello proprio la cautela di Berlino e Parigi. E però, anche qui, il documento licenziato dal Parlamento europeo e rilanciato dalla Commissione illumina un’altra verità. A richiedere una grande quantità di prestiti, per il Next Generation Eu come per il RePowerEu, sono stati i paesi che hanno un costo del debito molto superiore a quello offerto da Bruxelles. E dunque si comprende facilmente che la Germania o la Danimarca, i cui titoli di stato vantano uno spread più basso rispettivamente di 66 e 35 punti base rispetto all’eurobond di Bruxelles, preferiscano fare da sole. E ha un senso anche il fatto che Francia e Austria, le cui emissioni di titoli hanno un rendimento che oscilla intorno a quello  della Commissione, decidano di soprassedere. Così come, all’estremo opposto, è perfettamente logico, perché è conveniente, che l’Italia, con un rendimento dei Btp al 4,23 per cento, e dunque con uno spread più alto di 116 punti base rispetto al Next Generation Bond, creda molta in quei prestiti europei.

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Dunque il calendario è lì, impietoso, a segnalare i ritardi italiani. Non solo sulla riscossione della terza rata – i 19 miliardi previsti per gli obiettivi di dicembre, e ancora sospesi – ma anche, appunto, per le modifiche al Pnrr. Fitto – che proprio per oggi, con tanto di circolare, ha chiesto ai vari ministeri di comunicare le rispettive “posizioni rispetto alle ipotesi di revisione” del Pnrr: campa cavallo… –  ha spiegato ai colleghi di governo che le ragioni di questo supplemento di analisi verranno indicate nell’analisi semestrale sul Recovery che la prossima settimana, e pure questa con un certo ritardo, approderà in Parlamento. Solo che il prolungarsi delle trattative, e l’incognita che le circonda, rende “not specified”, per così dire, anche le possibilità del governo di conseguire i 27 obiettivi previsti per fine giugno, che valgono 16 miliardi di fondi europei. E così nel report elaborato dagli uffici del Parlamento europeo si spiega che “le imminenti scadenze di giugno stanno producendo ulteriori complicazioni”. Lo si spiega, peraltro, in un capitolo interamente dedicato all’Italia. Privilegio che il nostro paese, nei documenti ufficiali che circolano da due giorni presso gli uffici di Parlamento e Commissione europea, può condividere con Lussemburgo e Austria: ma in questi ultimi due casi, i “focus” servono a spiegare perché le controversie sono state superate. Quelle italiane, invece, sono ancora lì. E del resto, sempre a proposito di buone compagnie, a dover attendere ancora un giudizio da parte di Bruxelles su una rata del Recovery, oltre all’Italia, ci sono Grecia e Romania. Paragoni impropri pure questi, forse. Eppure.
 

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