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I benzinai confermano lo sciopero, fallita la trattativa con Urso: "Vogliamo incontrare Meloni"

Maria Carla Sicilia

L'incontro al Mimit non placa la tensione: "Le risposte non sono soddisfacenti. Passa il messaggio che siamo speculatori". I distributori resteranno chiusi il 25 e 26 gennaio ma si lavora per modificare il decreto sulla trasparenza dei prezzi in Parlamento

Uno scontro così duro nessuno se lo aspettava, neppure i benzinai stessi. Oggi è fallito anche il terzo incontro in meno di una settimana dopo l’apertura del confronto a Palazzo Chigi venerdì scorso. Il secondo tavolo tecnico si è tenuto ancora al ministero delle Imprese e del Made in Italy e questa volta Adolfo Urso ha portato alcune ipotesi di modifica del decreto Trasparenza da cui nasce il malcontento. Proposte giudicate insufficienti, per cui lo sciopero di 48 ore del 25 e 26 gennaio resta confermato. La palla torna al governo e questa volta i gestori degli impianti auspicano l’intervento diretto di Giorgia Meloni. “Non c’è dubbio che se intervenisse il presidente del Consiglio la situazione cambierebbe. I nodi che abbiamo chiesto di sciogliere al governo non possono essere affidati alle scelte di un solo ministero. Abbiamo incontrato Giorgetti, Mantovano e Urso ma alcuni aspetti della materia sono anche di competenza di Pichetto Fratin e di Salvini”, dice al Foglio Roberto Di Vincenzo, il presidente di Fegica, che insieme a Faib e Figisc sta portando avanti la trattativa. “Abbiamo la necessità che il governo assuma su di sé la soluzione dei temi legati a questa vertenza”. E non solo perché le questioni sono traversali – oltre al decreto, c’è l’enorme tema della riorganizzazione della rete di distribuzione che conta circa 22mila impianti – ma anche perché, secondo i rappresentanti del settore, le scelte della premier sono sbagliate. “Il governo ha sbagliato perché non c’era la necessità di alzare un polverone mediatico: i prezzi sono in linea con i rialzi delle accise che legittimamente sono state ripristinate. Presi dal panico hanno risposto con questo decreto d’urgenza, senza che un’urgenza ci fosse se non quella di rispondere a un falso allarme. Insomma – continua di Vincenzo – la questione si poteva gestire in maniera più intelligente e più accorta”.

Eppure da via XX Settembre sono arrivati segnali di apertura. I più importanti riguardano le sanzioni, con la proposta di abbassare il tetto massimo da seimila a ottocento euro, e poi sulle condizioni per cui dopo una serie di violazioni scatta la chiusura dell’impianto. “Non è un passo indietro ma un segnale di collaborazione”, dicono dal ministero, dove sottolineano che “non c’è alcuna chiusura da parte del governo” e per questo “non è esclusa una nuova convocazione prima dello sciopero”. La volontà di trattare è confermata anche dalla nota con cui Urso ha congedato i rappresentanti della filiera: “Il tavolo tecnico insediato da qualche giorno continuerà ad operare fino al completo riordino del settore”. Se si trovasse un punto di incontro i correttivi potrebbero trovare spazio in un emendamento della maggioranza nel corso dell’iter di conversione parlamentare del decreto. Ma sulle misure che riguardano la trasparenza dei prezzi il ministro sembrerebbe determinato a non fare marcia indietro. E questo significa che per il momento il governo tiene il punto sull’obbligo di esporre un cartello con il prezzo medio regionale e boccia la proposta di sostituirlo con un qr corde. Per i gestori e anche per le aziende petrolifere rappresentate da Unem si tratta di una misura inutile se non dannosa, perché potrebbe generare confusione negli automobilisti. Soprattutto, spiegano, il prezzo medio regionale non rappresenta un valore di confronto utile perché ci sono differenze di prezzo che dipendono dai volumi erogati e dai costi logistici, diversi anche in diverse zone della stessa città.  

La situazione è di uno stallo alla messicana. Anche perché a sentire i sindacati sembra che nessuna modifica possa ricucire lo strappo, se non forse l’abrogazione del decreto che al governo non è all’ordine del giorno. “Al fondo di tutto questo rimane un punto: si scarica sui gestori l’aumento del prezzo e li si presenta come una categoria inaffidabile sulla quale grava l’ombra della truffa ai danni degli automobilisti. Ridurre le sanzioni a 800 euro non cambia. Oggi ci sono già tutti gli strumenti per verificare la completa trasparenza del settore: questo decreto è inutile”, continua il presidente di Fegica, che al governo dice: “Non possiamo chiedere di fare mea culpa ma almeno di rendersi conto che questa non è la strada giusta. E poi di assumere impegni concreti all’interno di una riflessione complessiva sul riassetto del settore che consenta agli automobilisti di avere una mobilità garantita a prezzi che siano compatibili con il mercato  e possibilmente in discesa”. 

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  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.