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un'analisi

Perché è sbagliato il colpo di mano della Lega sulle controllate degli enti locali

Giacinto della Cananea

Un emendamento per evitare che i sindaci possano vincolare i loro successori. Ma la proposta ha varie conseguenze negative. Manca di omogeneità e non interviene sui presidenti di regione. Una misura inammissibile sul piano costituzionale

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Nonostante le buone intenzioni dichiarate nel programma elettorale del centrodestra per quanto riguarda la valorizzazione del ruolo degli enti locali, alcuni esponenti della Lega hanno predisposto un emendamento al decreto-legge n. 190 del 2022 che rischia di avere gravi ripercussioni sulle società controllate dai comuni. L’emendamento, che nei prossimi giorni sarà esaminato dalla commissione affari costituzionali della Camera, concerne il potere dei sindaci di effettuare nomine nelle società municipalizzate o partecipate dai comuni.

 

L’obiettivo è vietare le nomine nei novanta giorni precedenti il termine del mandato conferito dagli elettori. In questo modo, si intende evitare che un sindaco in scadenza possa indebitamente vincolare il proprio successore. Ma, come affermava Ovidio nelle Metamorfosi, non basta nutrire buone intenzioni: bisogna occuparsi delle conseguenze pratiche, per cercare di limitare quelle negative. Purtroppo la proposta leghista ne ha più d’una, di forma e di sostanza.

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La prima è la violazione dell’obbligo di omogeneità del decreto-legge e della legge di conversione, che richiede – secondo la Corte costituzionale – di interpretare in modo particolarmente rigoroso la improponibilità di emendamenti estranei all’oggetto della discussione (sentenza n. 22 del 2012). Poiché il decreto-legge in discussione ha a oggetto il prolungamento delle operazioni di votazione nelle imminenti elezioni regionali, l’emendamento manca della necessaria omogeneità e deve, quindi, essere dichiarato inammissibile.

 

La seconda conseguenza negativa riguarda il merito dell’emendamento. In Italia, esistono numerosissime società in pubblico controllo, a livello nazionale, regionale e locale ed è un grave errore differenziare arbitrariamente la loro disciplina, intervenendo sui poteri dei sindaci, ma non dei presidenti delle regioni. La terza conseguenza negativa riguarda l’impatto dell’emendamento sull’operatività delle società locali. Bisogna tenere conto, infatti, della possibilità che i loro amministratori siano già in scadenza, per cui impedire ai sindaci di nominarli rischia di provocare gravi danni alle società e, di riflesso, ai cittadini che si avvalgono dei loro servizi. 
Insomma, si tratta di una misura inammissibile sul piano costituzionale, che incrina l’unità della disciplina pubblica delle società e rischia di inficiarne il funzionamento. Il Parlamento riuscirà a evitare questo errore?

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