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non solo ischia

L'abusivismo che mette in pericolo la Sicilia: le istanze di condono sono 720 mila

Paolo Mandarà

C’è un piano di interventi contro il dissesto ma sono troppi i cantieri ancora aperti. Nel frattempo la volumetria abusiva sull'isola è pari a poco meno di sei milioni di metri cubi. Ma abbattere queste case è divenuta un’impresa: i sindaci non hanno i soldi e chi ci ha provato è finito sotto scorta

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Dall’abusivismo non si torna indietro. Le immagini dei corpi sepolti sotto acqua e detriti, provenienti da Ischia, in Sicilia le conoscono bene. I problemi pure. Nel 2018, a Casteldaccia (Palermo), un’intera famiglia (con due bambini) fu spazzata via dall’esondazione del fiume Milicia. Sulla casa in affitto, nei pressi della foce, pendeva un’ordinanza di demolizione dal 2010. Ma la villetta di contrada Dagali, in attesa della conclusione del processo per omicidio colposo, in cui sono imputati il sindaco e il proprietario, resta in piedi. Tra il 2004 e il 2020, in Sicilia, ci sono stati oltre 4.500 provvedimenti di demolizione, ma solamente 950 abbattimenti: viene eseguita un’ordinanza su cinque. Inoltre, la metà dei Comuni ha piani regolatori vecchi di oltre vent’anni.

 

In quest’Isola il tempo lava il sangue e aiuta a dimenticare. E il ministro per la Protezione Civile Nello Musumeci, quand’era governatore, non mosse un dito di fronte alla proposta del suo gruppo parlamentare, Diventerà Bellissima, di porre un asterisco sull’ultimo condono edilizio del 2003, per sanare gli edifici costruiti in aree sottoposte a vincolo relativo. La norma fu approvata dal parlamento siciliano e impugnata dal Consiglio dei ministri, ma la Regione ha resistito di fronte alla Corte Costituzionale: una sentenza è attesa per la fine dell’anno. 

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Da parte della politica i segnali sono discordanti: c’è un piano, tardivo, di interventi contro il dissesto per 750 milioni, ma troppi cantieri ancora aperti. Nel frattempo l’abusivismo edilizio prolifera. Il Sistema informativo territoriale siciliano, al 2022, certifica 720 mila istanze di condono straordinario depositate, di cui la maggior parte (505 mila pratiche) risalenti al primo condono, anno 1985. Tenendo in considerazione tutte le istanze, la volumetria abusiva è pari a poco meno di sei milioni di metri cubi. Catania detiene il primato degli abusi, seguita dalle province di Palermo, Agrigento e Trapani. 

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Da queste parti sorge Triscina di Selinunte, frazione di Castelvetrano, regno del superlatitante Matteo Messina Denaro. Nella borgata, che dista una manciata di chilometri dal parco archeologico più grande d’Europa, gli abitanti superano a stento le 600 unità. Ma nell’area insistevano cinque mila abitazioni realizzate a pochi metri dalla battigia: meno dei 150 stabiliti dalla legge (a cui, in base a una sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa del 2021, non si può derogare in alcun modo); e ben oltre il 1976, limite ultimo per avere accesso alla sanatoria ordinaria. Molte costruzioni sono state regolarizzate negli anni, altre – nonostante sentenze penali già definitive – sopravvivono all’interno di un reticolato di cemento difficile da espugnare. Ma abbatterle è divenuta un’impresa: i sindaci non hanno i soldi e il fondo di rotazione messo a disposizione per le demolizioni è di un milione l’anno. Briciole.

Nel dossier Mare Monstrum 2022, la Sicilia è al secondo posto generale (dopo la Campania) per numero di reati penali e illeciti amministrativi legati alla cementificazione della costa. Ma le uniche risposte a un trend consolidato (nel 2021 era prima) arrivano da Carini, dove il sindaco Giovì Monteleone ha inserito nel programma elettorale lo smantellamento delle abitazioni abusive a ridosso del mare e, con tutte le difficoltà del caso, sta privando a tenervi fede. Mentre a Triscina, come riportato da Legambiente, “da qualche anno ci sono anche le prime, timide ruspe”. Le operazioni demolizione di 84 edifici, affidate a una ditta privata, erano riprese nell’aprile dell’anno scorso dopo una lunga pausa dovuta alla pandemia. Ma l’insediamento del nuovo sindaco del M5s, Enzo Alfano, nel 2019, non ha portato l’accelerazione sperata: troppo spesso ci si impantana nei ricorsi al Tar da parte dei proprietari e nella carenza cronica di risorse. I comuni non possono anticipare i costi della demolizione, senza la certezza che i privati – su cui in teoria gravano – glieli restituiranno.

Il caso siciliano più celebre, negli ultimi anni, è quello di Licata, in provincia di Agrigento: dove la sferzata anti-abusivismo è costata all’ex sindaco e attuale parlamentare regionale dei 5 Stelle, Angelo Cambiano, una mozione di sfiducia da parte del Consiglio comunale, un paio di vetture incendiate e l’assegnazione della scorta. Come per il capo dell’Ufficio Tecnico, Vincenzo Ortega, che aveva firmato 219 ordinanze di demolizione, e venne cacciato su due piedi (finché la delibera non venne revocata, nel 2020). Anche all’ingegnere fu data la scorta. Ma questa è la storia di un sacrosanto principio – mettere in sicurezza le persone – che si trasforma in cronaca giudiziaria. Finché non prevale la nera e spazza via tutto. Anche la retorica delle tragedie che, forse, si potevano evitare.

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