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le due anime del partito

In Sicilia Forza Italia si spacca. Micciché si tiene il simbolo, Schifani i parlamentari

Paolo Mandarà

La disputa è terminata, almeno formalmente, ma resta la spaccatura del partito mentre il Cav. preferisce non intervenire. Il commissario regionale manterrà la denominazione storica, mentre il presidente della Regione manterrà il controllo su otto deputati e una presidenza di commissione e due vice 

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Gianfranco Micciché si tiene il simbolo (e il nome). Renato Schifani, invece, esprimerà otto deputati regionali, una presidenza e un paio di vicepresidenze nelle commissioni parlamentari, fregando al blasonato collega di partito, vicerè berlusconiano dal ’94, il grosso della pattuglia (e del prestigio). In Sicilia va così: Forza Italia vince, ma si spacca. Inesorabilmente. A Palazzo dei Normanni, considerata la sede del parlamento più antico del mondo, una cosa così la videro ai tempi del Popolo della libertà, quando il ‘solito’ Micciché decise di sdoppiare le forze e ribattezzare uno dei due gruppi Pdl Sicilia, promettendo fedeltà al governatore dell’epoca, Raffaele Lombardo.

Oggi la situazione s’è quasi invertita, e le spaccature si ripetono. Da un lato il commissario regionale, eletto anche al Senato (dove non vuole rimanere a lungo), che di Berlusconi è sempre stato l’ombra e il braccio operativo. Dall’altro il presidente della Regione, espressione di una coalizione ampia, forse troppo, dove Micciché è inviso a molti. Compresi gli “ortodossi” del suo stesso partito. Cioè il manipolo di uomini e donne, capeggiati dall’assessore all’Economia Marco Falcone, che già durante l’ultima legislatura - inasprita dal conflitto con Musumeci - tentarono di rovesciarlo. Il motivo? Troppo ostile a chi governa. Ieri l’attuale ministro del Mare (che infatti non ha ottenuto il secondo mandato); oggi, forse, Schifani.

 

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‘Forse’ nel senso che la partita non era ancora cominciata. Il presidente della regione è insediato da metà ottobre, il suo governo da una settimana scarsa, eppure i due, all’indomani dei festeggiamenti di rito, hanno subito trovato il modo di litigare. Miccichè esibendo il suo curriculum ventottennale ed esigendo risposte su assessorati chiave, come quello alla Sanità. Schifani cercando di trovare un punto d’equilibrio fra i funambolismi del commissario forzista e l’impegno a rispettare i patti con tutti, specie con Fratelli d’Italia, che gli ha fatto pesare in maniera ostentata la rinuncia a Musumeci. Il partito della Meloni, gestito per le vicende sicule da Ignazio La Russa, è riuscito a portare a casa quattro assessori (su dodici) e il presidente dell’assemblea regionale. Un en plein difficile da mandare giù per il “concorrente”.

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Lo scontro è stato inevitabile. In parte imbarazzante. E non può dirsi archiviato. Dopo la creazione di due gruppi contigui e omofoni in assemblea (Forza Italia 1 e Forza Italia 2), quello di Schifani ha scelto di cambiare etichetta: da ieri si chiama ‘Forza Italia all’Ars’. A Miccichè è rimasta Forza Italia 2, che tornerà presto Forza Italia e basta. “La legittimità del gruppo che rappresento in qualità di capogruppo è garantita già dalla conservazione del nome originario, di cui saremo i custodi ufficiali”, ha detto Michele Mancuso, tra i fedelissimi di Miccichè. Anche se l’ex ministro, che oggi ha un piede e mezzo fuori dalla maggioranza, l’aveva giurata a tutti. Persino al nuovo presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, ch’era stato diffidato “dall'adozione di atti suscettibili di conferire anche indirettamente legittimazione a terzi nell'utilizzo della denominazione del partito politico dallo scrivente rappresentato”. La guerra delle carte bollate, a questo punto, sembra scongiurata. Il simbolo è nelle sue mani, ma oltre a questo Miccichè rischia di vedere poco.

 

La truppa di Schifani è composta da 9 parlamentari regionali su 13 (compreso il governatore). E può contare sulla presidenza della commissione parlamentare Attività produttive, oltre che su un paio di incarichi da vice (Bilancio e Ambiente). Micciché, dopo aver mancato l’ingresso in giunta e l’assalto alla Sanità, è rimasto all’asciutto per la seconda volta. E non è valso a nulla l’impegno a ricucire, professato sui giornali, per far felice Berlusconi. Il Cav. è fuori da queste diatribe, e le telefonate fatte filtrare da Arcore non si sono mai evolute in un tentativo reale di riconciliazione. Il vecchio leader di Forza Italia ha altri grattacapi e divisioni da gestire. La Sicilia può attendere. 

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