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Il caso

Meloni è turboatlantista sull'Ucraina, ma morbida con la Cina. E ha la spina Macron

Simone Canettieri e Giulia Pompili

Bilancio del G20 a Bali. La premier durissima con la Russia dopo il caso dei missili in Polonia, con Xi evita i toni duri. E le resta il problema francese

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 E’ turboatlantista sulla guerra in Ucraina, ma anche morbida con la Cina. Sulla Francia, il dolore intercostale che si porta dietro al G20 di Bali, diventa diplomatica. Giorgia Meloni chiude il debutto fra i grandi della terra con una rapida conferenza stampa. Anche questa volta – è la terza da quando è premier – accetta solo una manciata di domande. Tre per la precisione. Ma si scusa: “Mi aspetta il presidente cinese, ho un minuto e mezzo”.  Il bilancio è positivo, dice la leader italiana. Unica donna a capo di un governo in Indonesia. E’ un fatto che il presidente, come si fa chiamare, rivendica. Così come l’essersi portata la piccola Ginevra a Bali (“ho diritto di fare la madre come ritengo”).

Ma è la Meloni international che va raccontata.    
Sui missili caduti in Polonia pronuncia parole definitive: “L’ipotesi che fossero dell’antiaerea ucraina non cambia la sostanza: la responsabilità di quello che è accaduto per quanto ci riguarda è tutta russa”.  

La condanna a Mosca supera in intensità quella delle altre cancellerie. E da qui il gancio per parlare dell’incontro con Joe Biden è rapido. Questione energia: “Gli Stati Uniti garantiscono la loro disponibilità ad aumentare le forniture di gas, e sono disposti a ragionare sui prezzi con la Ue”.

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La sicurezza di Meloni sotto l’ombrello della Nato diventa più sfumata quando deve parlare dei rapporti con Emmanuel Macron, dopo il frontale con la Francia sui migranti. E qui la premier pattina. Ammette di non aver incontrato l’inquilino dell’Eliseo, ma di aver preso un caffè con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel per parlare del dossier.     Quanto a Macron prova a sviare spiegando che “non abbiamo bisogno di arrivare a Bali per parlare di queste cose”.  Le parole di Meloni rimbalzano in Italia nel giorno in cui Matteo Piantedosi sta informando il Parlamento sul caso della Ocean Viking e delle altre navi di migranti che nei giorni scorsi hanno mandato in fibrillazione il governo. Il ministro dell’Interno, a proposito della nave oggetto dello scontro con Parigi, dice che si “era diretta autonomamente verso le coste francesi” e che il governo “non voleva creare attriti internazionali”. Insomma, “una decisione presa in autonomia”.  Piantedosi in privato si sfoga con lo staff: “Colpiscono me perché pensano di attaccare Salvini, ma  ho le spalle larghe”.

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Ma con Parigi come la mettiamo? “La posizione della Francia è illogica”, dice il ministro Francesco Lollobrigida.  “Sì è illogica perché è ovvio che i migranti vadano gestiti insieme, in Europa. Se poi si hanno queste reazioni per problemi di politica interna, e penso alla Le Pen, allora noi cosa c’entriamo?”. Antonio Tajani, vicepremier di FI e titolare della Farnesina, è reduce dal vertice di Bruxelles con gli omologhi europei. “Il caso con Parigi è chiuso”, dice il ministro degli Esteri che nei giorni scorsi ha vissuto le ore della crisi diplomatica al fianco del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La vicenda invece è aperta. 


Ma bisogna ritornare da Meloni. E al suo ultimo bilaterale.   Alla prima prova internazionale con la Cina la continuità di Meloni è piuttosto con Di Maio e le arance della Via della Seta, più che con il precedente governo Draghi. “Un incontro improntato alla cordialità”,  fa sapere Palazzo Chigi. Anche perché a Bali era quasi mezzanotte alla fine il bilaterale Xi Jinping-Meloni c’è stato.

Molti dei faccia a faccia previsti ieri sono saltati per via dell’emergenza polacca: quello tra Xi e Sunak, il primo ministro inglese, e quello tra Meloni e Kishida, il primo ministro giapponese (da Tokyo non l’hanno presa benissimo).

E invece Meloni ha incontrato il leader cinese perfino dopo la conferenza stampa conclusiva del suo primo G20, un fatto un po’ anomalo, al limite dello sgarbo diplomatico, che secondo i pettegolezzi che circolavano ieri è stato causato dalla parte cinese, forse non convintissima di incontrare la presidente del Consiglio che in campagna elettorale non ha fatto nulla per nascondere le sue posizioni anticinesi.  

Nella nota finale del governo italiano, si fa riferimento alle “civiltà millenarie” che condividono Cina e Italia: un topos letterario delle dichiarazioni garbate con Pechino. Meloni “ha espresso l’interesse del governo italiano a promuovere gli interessi economici reciproci, anche nell’ottica di un aumento delle esportazioni italiane in Cina”. Un riferimento ai diritti umani e soprattutto alla guerra in Ucraina e al “promuovere ogni iniziativa diplomatica per porre fine al conflitto ed evitare un'escalation”. Lo stesso riferimento si trova nelle dichiarazioni finali di tutti i leader europei che hanno parlato con Xi, quasi sempre con toni più espliciti di intervento attivo cinese nella risoluzione del conflitto. L’incontro Meloni-Xi potrebbe essere quindi parte della strategia di dialogo con Pechino di Biden, di cui ancora non sono chiari i contorni. Per ora, però, la militanza pro Taiwan del governo Meloni che auspicava la sua base anticinese è rimandata, anzi. La leader  ha accettato l’invito di Xi a visitare Pechino. Non a caso il primo a festeggiare la sua postura dialogante, ieri su Twitter, era l’ex sottosegretario leghista Michele Geraci. Cartoline da Bali, dove non è il caso di commentare l’uscita del sottosegretario Marcello Gemmato sui vaccini.  
 

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