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il commento

Un discorso spiazzante. Meloni alla Camera ha sorpreso anche me

Giuliano Ferrara

La leader di Fratelli d'Italia poteva fare di quell’Aula sorda e grigia un bivacco per i suoi simboli, invece sembrava la presidente del Consiglio scelta dagli elettori

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Sono spiazzato. Pensavo di sapere tutto delle cose politiche, anche prima che si producano, e invece il discorso di Meloni alla Camera mi ha sorpreso. C’era certo della retorica e una certa vanità personale, forse giustificata dalla circostanza, donna e underdog, qualche evidente reticenza sulle curve complicate di una storia di cui il suo partito e simbolo fanno parte, sebbene generazionalmente lei possa sentirsene estranea. Ma non è stato un discorso demagogico, ha parlato in bianco e nero, senza spreco di colori. Niente di tossico, di trumpiano, per una che si professava ammiratrice di Bannon e di Vox, quegli scombinati ingegneri del caos (come dice Da Empoli).

Prima dei diritti sovrani della nazione, per non dire della trascurata Patria, valori richiamati con misura, ha messo i diritti di un governo politico che si vuole pragmatico e che di un governo politico di coalizione correrà tutti i rischi. Non ha minacciato i famosi diritti, non ha messo in causa Dio Patria e Famiglia, ha presentato la riforma presidenzialista con un tono sicuro ma dialogante, ha trattato le questioni economiche, dalla finanza al fisco, con un piglio grigio e perfino attenzione alle sfumature, senza nemmeno rivendicare la sua lunga opposizione come pegno di cambiamento; si è posta in continuità con la politica estera e le alleanze di guerra e di pace di una lunga epoca storica, boh, era spiazzante l’euroscetticismo trasformato in europresenzialismo, la citazione di Scruton sull’ambientalismo conservatore, natura e uomo al centro l’uno dell’altra. Stravolgere i pronostici invece che seminare nuove illusioni, no allo spirito parolaio, la difesa dei confini dall’immigrazione illegale affidata all’Unione europea più che alla Guardia costiera.

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Ma chi è questa zingara andalusa donna madre cristiana che risultava minacciosa per le minoranze identitarie, intrattabile per le varie sinistre, centro di alleanze dubbie, ora che al governo si dice pronta a ogni sacrificio politico in nome della guerra europea all’autocrate del Cremlino e al ricordo, perfino al ricordo, dei totalitarismi del XX secolo, a partire dal cedimento al razzismo del Terzo Reich? Il percorso del governo della destra è tutto ancora da decifrare, eppure la sua base programmatica non irrita alcuna corda in un vecchio realista di matrice comunista e vaga conversione liberale, anticomunista, e non eccita nessuna velleità nemmeno in un vecchio adepto del circolo Ratzinger-Ruini, così presente nell’esecutivo però con discrezione, a quanto pare, a quanto indica la presidente del Consiglio.

Questo discorso coi tacchi, invece che con i baffi, per me fa mistero avvolto in un enigma. Le premesse erano pessime, anche se la campagna elettorale fu muta di sbrasate, tutta giocata su una vittoria congetturale ma prevedibile, preparata dai sondaggi. Una destra che inforca gli occhiali, decisa a studiare, leggere, capire e costruire una sua egemonia non bellicosa, razionale, intelligente? Dei miei recenti amici Ztl mi sono fidato, anche se per pura compassione li ho votati, una volta esaurita (ormai da anni) la forza propulsiva del Cav., ma il presepe di Madonna Giorgia non mi ispirava e non mi ispira. Mi sembra tutto troppo facile, affidato come a un gioco di parole, di parafrasi, di facilismi parlamentari. Tuttavia sorpresa e spiazzamento li devo riconoscere. Avrebbe potuto fare di quell’Aula sorda e grigia un bivacco per i suoi simboli, invece sembrava la presidente del Consiglio scelta dagli elettori.

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