Il caso

Pianti, abbracci e devozione. Viaggio nelle truppe di FdI: "Per noi è Giorgia Frodo"

Simone Canettieri

Parlamentari in estasi per la capa, mentre inizia la corsa a occupare il potere. Dai sottosegretari agli staff. E intanto lei prepara il viaggio in Ucraina

“Giorgia Frodo porterà l’anello senza farsi sopraffare dal potere”. Federico Mollicone, deputato anti Peppa Pig, ce l’aveva sulla punta della lingua, la mistica di Tolkien. E l’ha dovuta dire al primo taccuino disponibile. Giorgia Meloni ha da poco finito il discorso. Alla Camera le truppe di Fratelli d’Italia sono elettrizzate. Lacrime, abbracci, riscatto. Devozione totale alla capa. Andrea Delmastro: “Io sottosegretario? Sono un umile servo nella vigna di Giorgia”. 


Qui alla Camera ci sono 118 deputati che aspettano questa scena da una vita. Sono ancora in estasi per le parole della “capa”. Compatti e inscalfibili. Abbastanza impressionante. Addirittura sono gli eletti di FdI che intervistano i cronisti, e non viceversa: ti è piaciuto, hai visto che roba? “E’ uno dei giorni più importanti della mia vita, come ho scritto prima a mia moglie”, confessa Gianluca Caramanna, già responsabile turismo del partito, uomo tutta passione e logistica. “Rosca’, tu hai pianto per gli Anni di piombo?”. “Io sì e pure quando ha citato i nomi delle donne che ce l’hanno fatta”.  Chiara Colosimo, deputata in odore di Fiamma magica, si sfoga con il collega Fabio Roscani che è anche presidente di Gioventù nazionale, il quale è impegnato a scrivere una nota sugli scontri alla Sapienza (“volevano impedirci un convegno organizzato: non ci intimidiranno!”). La generazione Atreju non sta nella pelle. E anche la vecchia guardia si emoziona. Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e volto storico del partito, viene pizzicato dalle telecamere mentre si commuove durante il discorso programmatico della ragazza diventata presidente del Consiglio. “Abbiamo rotto tanti tetti di cristallo. La rivoluzione culturale, cara sinistra, non l’avete fatta voi, l'abbiamo fatta noi”. Aria da standing ovation. Tutte cose già viste, certo. Solo che s’ode un rumore di revanchismo, con buone dosi di retorica, che va registrato. Eccone un altro. Giovanni Donzelli, uomo macchina del partito della nuova razza padrona, scosso ed emozionato prende la parola: “Tutte le donne ora sanno che possono nascere in una famiglia non fortunata come le altre, possono non abitare nella zona a traffico limitato, non frequentare i salotti buoni, possono non avere fortune particolari”. E’ chiaro che da qui non se ne esce. Allora bisogna seguire Francesco Lollobrigida. Il “signor ministro” è il più corteggiato dalla politica parlamentare. Piace alle giornaliste. Tratta per i sottosegretari con la maggioranza, segnala e ragiona su tutti gli staff a partire dai capi di gabinetto. “Ti ricordi per quel ruolo il nome di quell’amico di Lollo?”, si sente dire in un orecchio Andrea Abodi da un deputato di FdI. Risposta del ministro dello Sport: “Certo!” Insomma, va bene il riscatto e l’orgoglio, ma la macchina si è messa in moto. E ora la destra è pronta a occupare, come è normale che sia, posti e strapuntini. Senza fare prigionieri. “D’altronde hanno vinto le elezioni, ma troveremo un accordo senza problemi”, sorride il leghista-salviniano Claudio Durigon che viaggia verso il ministero del Lavoro. In Transatlantico è tutto un “brava bis”, dopo il discorso programmatico. 


Per esempio, Meloni, a proposito del Covid, e del green pass, ha spiegato testuale che in caso di una nuova ondata “l’informazione corretta, la prevenzione e la responsabilizzazione sono più efficaci della coercizione”. Bisogna chiedere conto di queste parole al ministro della Salute Orazio Schillaci, rettore dell’Università di Tor Vergata, che da quando è stato nominato è finito nel mirino dei No vax. Spunta dall’Aula: “Coercizione? Non mi sembra che Meloni abbia usato questa parola”. No, guardi è così. Lei è d’accordo? “Guardiamo al futuro, sperando che non ci sia un’altra ondata”. Si può dire che i vaccini e il green pass hanno salvato il paese? “Grazie, buona giornata”. Anche i ministri sembrano adeguarsi. Ma lei, il presidente dov’è? Sta rientrando per la replica. Sfrutta l’assist della capogruppo Pd Debora Serracchiani (“Le sembra che stia un passo indietro agli uomini?”) è poco istituzionale quando si rivolge ad Aboubakar Soumahoro (gli dà del tu), le scappa un romanissimo “boni!” verso gli arditi di FdI, pronti a tutto. Oggi tocca al Senato. Meloni intanto pensa alle cose serie: un viaggio a Kyiv il prima possibile dove l’attendono ben altre truppe. 
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.