PUBBLICITÁ

pessimismo vs ottimismo

Il governo Meloni è una svolta per l'Italia: pro e conto

Sabino Cassese

La stabilità dei voti e la rivoluzione dei seggi in Parlamento, il nuovo cocchiere del centrodestra, la debolezza della sinistra e del sindacato. Continuità e discontinuità in un percorso tracciato dal governo precedente. Un  dialogo

PUBBLICITÁ

Una nuova svolta. Dopo quella del 1994, quando cominciò la Seconda Repubblica e quella del 2018, che vide l’affermarsi del Movimento 5 stelle, quella del 2022 è una nuova svolta? E quale giudizio dare di questo nuovo passaggio?

   

Pessimista. Due conclusioni sono chiare. Che è entrato in vita il 68º governo della storia repubblicana italiana e che è uscito di scena un governo guidato da una delle persone più sperimentate nell’esercizio di funzioni pubbliche.

PUBBLICITÁ

Ottimista. Tuttavia, anche se la legislatura è stata abbreviata, questa è stata una crisi fisiologica, non una crisi come le altre, a mezzo della legislatura, perché si andava verso il termine del quinquennio di vita del Parlamento e il risultato elettorale questa volta è stato chiaro.

PUBBLICITÁ

 

Pessimista. Le elezioni hanno nascosto, però, due ambiguità. La prima è costituita dall’alto numero delle astensioni: in meno di cinque anni, gli astenuti sono aumentati di quasi il 10 per cento. La seconda ambiguità: il paese è cambiato poco, mentre il Parlamento è cambiato molto. Voglio dire che il numero dei voti per la coalizione di destra e il numero dei voti per la coalizione di sinistra, tra il 2018 e il 2023, non sono cambiati molto: la coalizione di destra aveva circa 12 milioni di voti e altrettanti ne ha avuti nelle ultime elezioni; quella di sinistra aveva circa 7 milioni di voti e all’incirca altrettanti ne ha avuti nel 2022. L’unico cambiamento importante è stata la forte diminuzione, in termini di voti, del Movimento 5 stelle, che ha visto più che dimezzarsi il proprio elettorato. Tuttavia, la  rappresentanza è cambiata molto, perché il centrodestra, con circa il 44 per cento dei voti ha avuto circa il 60 per cento dei seggi alla Camera e circa il 57 per cento dei seggi al Senato. Alla stabilità dei voti ha corrisposto una rivoluzione nei seggi in Parlamento. Tutto merito della formula elettorale, piuttosto che delle forze politiche. L’altro cambiamento importante è stato quello relativo alla modificazione interna del peso delle tre forze del centrodestra, che ha visto passare alla guida Fratelli d’Italia.

Ottimista. Anche se è merito della formula elettorale, più che dell’elettorato, un risultato chiaro c’è stato. In ogni partita contano non solo i giocatori e le loro qualità, ma anche le regole del gioco. La destra ha saputo sfruttarle, la sinistra non ha saputo utilizzarle.

Pessimista. Il risultato chiaro c’è stato, ma è subito seguita una frattura, evidenziata dal soccorso che la sinistra ha offerto al centrodestra per la elezione del presidente del Senato. Sono emersi ulteriori elementi. Il primo è quello che Alessandro Manzoni chiamava, nei “Promessi sposi”, “canizie vituperose”. Il secondo è quello che chiamerei di una carrozza con tre cocchieri. La carrozza è quella del centrodestra. I tre ospiti della carrozza sono tre cocchieri, Forza Italia che ha svolto il ruolo di guida prima, la Lega, che ha assunto questo ruolo dopo, e Fratelli d’Italia che arriva ora alla guida. Era quasi naturale che vi sarebbero state frizioni tra vecchi e nuovi cocchieri.

Ottimista. Il  risultato che si è prodotto ha, paradossalmente, ridato forza all’aspetto più autentico del regime parlamentare. Ricordiamo quello che hanno  scritto Burke e Condorcet. Burke: il Parlamento non è un congresso di ambasciatori, che rappresentano interessi diversi e in conflitto, ma un’assemblea deliberativa di una nazione con un solo interesse, quello del tutto. Condorcet: il popolo non sceglie i suoi cosiddetti rappresentanti per esprimere l’opinione del popolo stesso, ma per consentire ai cosiddetti rappresentanti di esprimere le proprie opinioni. Ebbene, abbiamo assistito alla rivincita del parlamentarismo sugli ingenui che credono che democrazia voglia dire, in senso letterale, governo del popolo.

PUBBLICITÁ

Pessimista. Se questa rivincita del sistema parlamentare costituisce un elemento di continuità, tuttavia, un elemento di discontinuità è il fatto che la destra vada per la prima volta alla guida del governo. Nel 1960 il governo Tambroni, a guida Dc, ebbe il sostegno del Movimento sociale italiano, ma quello fu un esperimento di breve durata e la destra rimase all’esterno del governo. Nel 1995 c’è stata la svolta di Fiuggi. Ma ci si può chiedere quanto rapidamente Fratelli d’Italia assimilerà i vincoli esterni e interni che sono propri di ogni democrazia e che consentono una piena legittimazione di ogni forza che vada al governo.

PUBBLICITÁ

Ottimista. Vanno considerati anche altri elementi. Le dichiarazioni rassicuranti dei dirigenti di Fratelli d’Italia. Il corretto svolgimento della procedura parlamentare. La sua accelerazione: il Parlamento non era ancora riunito quando il centrodestra si dava già carico della ricerca degli uomini di governo, ma senza fare nomi ufficialmente, per rispetto della funzione di filtro, garanzia e mediazione del presidente della Repubblica. Solo uno dei tre  cocchieri ha, alla fine, fatto nomi.

Pessimista. Le difficoltà che si affacciano non sono poche. Governare la transizione è difficile, mentre il mondo cambia e riserva ogni ordine di difficoltà, dalla guerra alle fonti di energia, ai timori di una recessione, alle preoccupazione per il debito pubblico. A queste difficoltà esterne si aggiungono quelle interne, prodotte da un cambiamento costituzionale radicale che entra in funzione per la prima volta con la riduzione dei parlamentari; una delle due camere non è ancora pronta ad affrontare questa riduzione. Il necessario rodaggio di una forza politica che assume le redini del comando per la prima volta nella storia repubblicana. Un’opinione pubblica attenta soltanto agli aspetti di facciata e completamente disattenta ai grandi problemi del paese. Una forte debolezza programmatica di tutti i partiti politici, specialmente di quelli che si accingono a governare la macchina pubblica: si sono presentati all’elettorato con programmi che si limitavano a echeggiare quello che si poteva leggere tutti i giorni sui giornali, ovvietà che nessuno discute, come semplificazione, digitalizzazione, sburocratizzazione, delegificazione. Una litania che ascoltiamo da parecchi decenni.

PUBBLICITÁ

Ottimista. Però il governo si trova la strada facilitata perché, come annunciato il 12 ottobre scorso, il governo uscente ha realizzato tutti gli obiettivi, dei governi precedenti e di quello attuale, con 1.376 provvedimenti attuativi, 147 provvedimenti legislativi, costituiti da 74 decreti legislativi, 62 decreti legge e 38 disegni di legge. Ciò conferma lo spostamento della funzione legislativa nell’esecutivo, ma è prova di efficienza e rapidità del governo Draghi, al quale andrebbe rivolto un solenne ringraziamento. La sua “testimonianza” è insieme un  lascito e un invito. Il lascito di un patrimonio di fiducia e l’invito a non  disperderlo.

Pessimista. La democrazia ha bisogno di dialettica. Questa potrebbe venire dall’azione dei partiti di opposizione e dei sindacati. Ma il Partito democratico, l’unico partito erede delle tradizioni del ‘900, quello in cui sono confluite le forze politiche del secolo scorso, ha dentro di sé troppi eredi in continua tensione tra di loro; si è persino parlato di uno scioglimento, mentre sarebbe necessario il contrario, fondere le diverse parti, per assicurare un vero e proprio amalgama. Deboli anche i sindacati, sia perché debole la loro democrazia interna, sia perché svolgono un ruolo di spalla della conservazione (basta notare l’ossessiva e irrealistica battaglia per l’uniformità retributiva nel settore scolastico). A questa assenza di dialettica esterna fa riscontro un eccesso di conflittualità interna alla struttura di governo: ricordo soltanto le tensioni prodotte dall’eccessiva concentrazione di poteri nella presidenza del Consiglio dei ministri e nel ministero dell’Economia delle Finanze e le sempre ricorrenti tensioni tra esecutivo e giudiziario. Nella relazione del segretario nazionale dell’Associazione nazionale magistrati, del 14 ottobre, ogni riforma viene interpretata come un modo per “mettere in riga” i magistrati; la palese crisi generale della giustizia viene ritenuta un fatto minore;  si ignora che la collettività ha sempre meno fiducia nella magistratura; vengono addirittura criticati i membri non togati del Csm, che non avrebbero svolto la loro attività di controllo. Sullo sfondo vi sono le tre grandi fratture della società italiana: il divario tra Nord e Sud, che dimostra la mancata unificazione economica e sociale del paese a quasi due secoli dall’Unità; il basso tasso di scolarizzazione, che produce una società di analfabeti, di analfabeti funzionali o di analfabeti di ritorno; infine, la crisi della sanità come servizio nazionale, per la debolezza della sanità territoriale.

Ottimista. Molti di questi problemi dovranno essere affrontati dal basso, dalla sviluppo delle regioni come rete. Finora, le regioni hanno sperimentato solo la funzione verticale, il rapporto periferia-centro, mentre con la pandemia è maturato il bisogno di costituire una solidarietà orizzontale tra le regioni. Probabilmente da questo potrà venire un contributo per risolvere molti dei problemi sociali.

Pessimista. Vi sono altri fattori di debolezza. Le coalizioni non sono un amalgama. Le forze politiche non hanno solo una debolezza programmatica, ma anche una debolezza realizzativa per assenza di staff efficaci, con inconsistenza esecutiva.

Ottimista. A molte di queste debolezze si potrà porre rimedio grazie alla forza trainante dell’Unione europea. Segnalo due punti di forza degli sviluppi ultimi dell’Unione. In un vuoto di competenze, è diventata acquirente unico dei vaccini comprando 4 miliardi di dosi; potrebbe diventare ora acquirente unico di fonti di energia. Vi sono buone possibilità che i primi passi per dotare l’Unione europea di una “Fiscal Capacity” siano seguiti dal rafforzamento della sua capacità di spesa (il bilancio dell’Unione europea è oggi pari a solo un quinto di quello italiano). Le  crisi hanno sempre fatto da innesco di nuovi sviluppi dell’Unione europea. L’antieuropeismo di bandiera (di coloro che sono contrari all’euro o vorrebbero un’Europa delle nazioni) si arresta quando si entra nelle soluzioni, quando  si scopre che la partecipazione all’Unione europea conviene agli stati nazionali e che questi tradirebbero il proprio interesse nazionale se si opponessero allo sviluppo delle funzioni dell’Unione europea: quando cediamo qualcosa, lo facciamo perché quello che riceviamo in contraccambio è sempre molto di più. Nella sua ultima relazione, la presidente della Commissione ha ricordato che già 100 miliardi sono stati erogati agli stati e ve ne sono 700 non ancora conferiti e che la recessione più profonda dal secondo dopoguerra ha visto una ripresa più rapida di quella che si realizzò alla metà del secolo scorso. Questi sono fattori che fanno ben sperare.

Pessimista. Questo dà per scontato un atteggiamento realistico del nuovo governo. Io penso che esso farà tre tipi di mosse. In primo luogo, mosse di tipo identitario. In secondo luogo, mosse di tipo populista. Infine, mosse di tipo pragmatico.

Ottimista. Questo è un quadro astratto. In concreto, la forza di questo governo sarà nella de-ideologizzazione delle sue politiche. In secondo luogo, bisogna tener conto che ogni governo ha un percorso tracciato sia dai problemi, sia delle politiche dei governi precedenti. Infine, gli elementi di discontinuità, che pure i nuovi governanti vorranno sottolineare, saranno contenuti nell’ambito delle condizioni poste dalla situazione critica in cui si trovano il governo e l’Italia.

Pessimista. Anche questi sono discorsi astratti: il nuovo governo sarà innanzitutto tenuto a perseguire l’obiettivo del presidenzialismo.

Ottimista. Ma anche il presidenzialismo è una proposta che va de-ideologizzata. Se per presidenzialismo si intende una maggiore concentrazione di poteri, ci si sbaglia perché a Palazzo Chigi vi è già una enorme massa di poteri. Se invece con il presidenzialismo si vuole sottolineare la necessità della continuità delle politiche, perché tutti governi sono transeunti, questo risponde a un’esigenza concreta, pratica, coerente con i comportamenti della nuova presidente, che dà più importanza ai fatti, meno alle ideologie.

Pessimista. Sullo sfondo c’è un ulteriore grande problema, che riguarda tutto il mondo, quello della recessione della democrazia.

Ottimista. Anche su questo nutro ragionevoli speranze. La forza della democrazia sta nel sorreggersi e correggersi da sola. La democrazia è l’unica forma di governo che abbia a cuore la “cura di sé”, come ha osservato Enzo Di Nuoscio nel volume “I geni invisibili della democrazia. La cultura umanistica come presidio di libertà” (Mondadori, 2022).

Pessimista. Vedo subito, però, riaffacciarsi i vecchi simboli, da alcuni evocati per ragioni identitarie, da altri per stanchezza mentale, con le antiche contrapposizioni: fascista-antifascista, nazionalista-europeista.

Ottimista. E’ vero, sono simboli che occupano lo spazio pubblico, evocano antichi conflitti, suscitano emozioni. Fanno però anche passare in secondo piano i veri problemi di fondo, che sono – lo ripeto – scuola, sanità, Sud. Se riesce a far ritornare questi in primo piano, riusciremo forse a vivere del nostro presente e non dei nostri passati.

Pessimista. Questi simboli si riflettono ora nelle denominazioni prescelte per alcuni ministeri. Il ministero della Famiglia, della Natalità e delle Pari opportunità, che ricorda la politica demografica del fascismo, mirante a innalzare natalità e fecondità. In secondo luogo, il ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, che porta la parola sovranità nella struttura di governo. In terzo luogo, il ministero delle Imprese e del “Made in Italy”, che contiene anch’esso un richiamo nazionalistico. Infine, Ambiente e Sicurezza energetica, che evoca una delle politiche degli anni ‘30, quando si parlave del “carbone bianco”.

Ottimista. C’è forse il tentativo di indicare simboli del passato, fascista, sovranista, nazionalista. Ma dietro queste quattro denominazione ci sono problemi reali. Il problema demografico, come più volte sottolineato di recente da un noto demografo e presidente dell’Istituto nazionale di statistica, Gian Carlo Blangiardo, è un problema molto serio del nostro Paese. Il tema della sovranità alimentare, non ha solo un precedente nel ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare francese, ma è anche il frutto di un lavoro svolto dall’associazione mondiale, costituita nel 1993, intitolata “La Via Campesina”, che si batte per il cosiddetto diritto dei popoli a definire i propri sistemi agricoli, ed ha avuto persino riconoscimento dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Singolare contraddizione: questa associazione evoca la parola sovranità, ma opera poi a livello internazionale. Poi, non si può disconoscere che l’Italia, come secondo paese esportatore dell’Unione europea, ha un interesse al riconoscimento dei suoi prodotti (anche qui, se ispirazione nazionalistica c’è, questa è poi in contraddizione con l’uso della lingua inglese, il “made in Italy” nella denominazione di un ministero, preceduta, peraltro, in precedenti governi, dal “welfare”). Infine, la sicurezza energetica è un problema attuale, ma lo fu anche negli anni 50, quando Enrico Mattei volle l’Eni, proprio per assicurare fonti di energia al paese. Cercherei piuttosto di considerare altri aspetti delle denominazioni ministeriali: quello positivo, di aver aggiunto la parola merito alla denominazione del ministero dell’Istruzione; quello negativo, per una sovrapposizione tra le competenze del ministro Fitto e quelle del ministro Musumeci, perché il primo è incaricato anche delle politiche di coesione, il secondo è il ministro anche del Sud. Ora, le politica di coesione sono proprio quelle che servono allo sviluppo delle zone insufficientemente sviluppate. come il Sud. Infine, un aspetto positivo è costituito dal fatto di aver affidato cinque ministeri chiave, degli Esteri, dell’Interno, della Difesa, della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze, a persone che, per la conoscenza del settore o l’attività già in precedenza svolta, dànno affidamento di coerenza con gli impegni internazionali dell’Italia.

Pessimista. Insisto: affiliazioni, genealogie, penati familiari contano e non saranno dimenticati.

Ottimista. Qui si vedrà la capacità del governo di accentuare il passato (i simboli, gli antenati), oppure il presente (il contesto difficile), oppure il futuro (i grandi problemi, scuola, sanità, Sud). Per ora, pare prevalente un’ispirazione di tipo andreottiano, rivolta alla concretezza. Si nota nello spirito pratico che ha presieduto alla scelta dei ministri, seguendo criteri generali preventivi indicati dal Quirinale e apportando qualche spostamento interno alla compagine, all’ultimo momento. Si nota nell’attenzione posta nelle scelte partitiche  e in quelle territoriali, fatte in modo da corrispondere ai rapporti di forza dell’elettorato e della popolazione, rispettivamente. D’altra parte, il governo deve cercare di dimostrare che non è stata scelta in modo democratico una coalizione che si rivela non democratica e ha dinanzi a sé tre problemi fondamentali: unità, continuità, identità. L’unità è importante perché vi è stato un tradimento addirittura prima della formazione del governo. La continuità è essenziale, perché vuol dire valersi del patrimonio internazionale di Draghi. L’identità va costruita, perché la coalizione è troppo eterogenea per averne una. Infine, ogni governo gestisce il paese con gli strumenti dei governi che l’hanno preceduto. Il percorso è tracciato. Il paese attende una “fabbrica delle leggi” a misura d’uomo e una gestione della macchina amministrativa che sia fatta guardando l’orologio. Questo dipende in larga misura dagli “staff”, ma anche la loro scelta è un segno sulla base del quale giudicare il governo.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ