foto di Gloria Sabatini, giornalista del Secolo

Il caso

Berlusconi nella tana di Meloni: "Pari dignità con la Lega". Ma c'è il no a Giustizia e Mise

Simone Canettieri

Il Cav. per un'ora e dieci nella sede di FdI. Accordo su Tajani vicepremier. A Forza Italia il ministero della Transizione ecologica, dentro anche Casellati 

La scena è talmente potente e clamorosa che Giovanni Donzelli, capo dell’organizzazione del partito, si affaccia dalla finestra del secondo piano e scatta una foto con il cellulare.  Sono le 16.35: l’auto di Silvio Berlusconi sta entrando nel cortile del palazzo di Fratelli d’Italia, in via della Scrofa.

E’ una curva nella storia della destra. “Mi scuso per il ritardo”, dice il Cav. alla padrona di casa e della coalizione, in giacca fucsia merkeliana e pantaloni. Frau Meloni riceve l’ospite, schermato dal suo staff, per evitare i teleobiettivi dei fotografi, posizionati in questo budello del centro storico a due passi dal Senato, transennato e in tilt. L’incontro dura un’ora e dieci. Si svolge al secondo piano, negli uffici che furono di Gianfranco Fini. Il Cav. non porta rose, ma chiede “pari dignità rispetto a Salvini”.  

Si è arrivati a questa scena madre dopo una storia ormai nota: il colpo a vuoto di Forza Italia contro Ignazio La Russa presidente del Senato, la foto degli appunti berlusconiani su Meloni (“supponente, prepotente, arrogante, offensiva”) e la risposta della diretta interessata: “Non sono ricattabile”. Sicché l’incontro serve innanzitutto a scongelare gli animi.  E a produrre una nota congiunta finale  nella quale si assicura che Forza Italia e Fratelli d’Italia si “presenteranno uniti, con le altre forze della coalizione, alle prossime consultazioni con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella”.  L’appuntamento dovrebbe cadere giovedì.

L’incarico il giorno dopo. Il possibile giuramento, secondo il volere di Meloni di fare presto, potrebbe esserci nel fine settimana o al massimo lunedì. 

Berlusconi si è presentato senza Licia Ronzulli, ormai fuori dal governo, all’appuntamento. E’ anche questo un dettaglio di cui tener conto. Con lui c’era solo, ma in un ruolo tecnico, il deputato-portavoce Paolo Emilio Russo. Che però non è entrato nella stanza della capa. E’ stato dunque un faccia a faccia. Con il Cav. che ha chiuso la vicenda del bigliettino “come un fatto ingigantito”. Gli azzurri continuano a sperare che alla fine sia possibile agguantare l’agognato ministero della Giustizia. Chi conosce la premier in pectore assicura che non se ne farà nulla. Quel posto sembra già prenotato da Carlo Nordio, l’ex pm candidato alla Camera da FdI. Un accordo è stato raggiunto sui vicepremier, intanto. Saranno Matteo Salvini per la Lega e Antonio Tajani per gli azzurri, a cui spetterà con ogni probabilità anche il ministero degli Esteri. 

E’ stato fatto il nome di Gilberto Pichetto Fratin al ministero della Transizione Ecologica, mentre da Arcore danno per complicato il dicastero dello Sviluppo economico, che si occupa anche di telecomunicazioni, sempre più vicino al cofondatore del partito meloniano Guido Crosetto. Meloni  avrebbe dato la disponibilità ad indicare altri due esponenti azzurri per il ministero della pubblica Amministrazione e per l’Univerisità. Tra i nomi che circolano ci sono quelli di Alessandro Cattaneo e Anna Maria Bernini. Alla fine da entrambe le sponde arriva un “è andato bene”. Ma bisogna fare anche la tara visti gli incontri precedenti che non avevano prodotto nulla di buono: quello a Villa Grande e il successivo alla Camera il giorno dell’elezione del presidente del Senato. Se finirà così Meloni avrà comunque retto: va bene i vicepremier, va bene un ministero economico di peso (quello della Transizione), ma su Giustizia e Mise non si tratta. Dalle parti del Cav. nutrono ancora la speranziella che qualcosa possa aprirsi per via Arenula, eventualità che i meloniani escludono con forza: “Non vogliamo rimetterci in un film che dura da venti anni”. 

La composizione del puzzle è ancora lunga. “Guardiamo avanti”, dice Meloni ai colonnelli che le chiedono ragguagli, una volta che Berlusconi è salito di nuovo in auto. C’è stato il primo scongelamento, ma la trattativa non è ancora chiusa. Rimangono piccole durezze e grandi fatti personali. Destinati a ripresentarsi.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.