Il caso

Prima il gas, poi il governo. Meloni preferisce mandare Draghi a trattare a Bruxelles

Simone Canettieri

La leader di FdI giurerà dopo il Consiglio europeo del 20-21 ottobre sull'energia: a rappresentare l'Italia ci sarà il premier uscente. Intanto, a sorpresa, apre alle proposte della Francia

Due telefoni, una calcolatrice e un calendario. E’ la cassetta degli attrezzi di Giorgia Meloni, ritornata nella sua torre d’avorio al sesto piano della Camera dopo il blitz milanese alla Coldiretti. Con la prima linea si tiene in contatto “costante” con il governo. Dallo stimatissimo ministro Roberto Cingolani, definito una “riserva della nazione”, per passare a Mario Draghi con il quale ha trovato un accordo: sarà il premier uscente a rappresentare l’Italia al Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre. Lei giurerà i giorni a seguire. Al Colle non dispiace questa soluzione. Con il secondo telefono ascolta gli alleati, ma intanto fa sapere che FdI punta alla presidenza del Senato. Poi c’è la calcolatrice: serve a trovare risorse e modi per evitare la slavina delle bollette e allontanare l’inflazione.


Gli input che piovono sulla scrivania della premier in pectore sono interni ed esterni. I suoi consiglieri economici, da Giovanbattista Fazzolari a Maurizio Leo, continuano a capire da dove iniziare a mettere le mani quando toccherà al nuovo governo. Da una parte si punta a pescare una tranche di fondi europei pluriennali non spesi – tra i dieci e i venti miliardi – per dirottarli sull’emergenza energia. Uno schema già visto quando scoppiò il Covid, e  servirono aiuti urgenti alle aziende chiuse. Nel merito delle varie idee, ancora abbastanza fumose e comunque iper tecniche, che circolano in queste ore c’è quella di intervenire sulle bollette. Come?  Con una separazione a valle, fissando il prezzo kilowattora di tutta l’energia che non è gas, attraverso un osservatorio.  In pratica si pensa di fare un decoupling. Ma non fatto a  monte, come in Spagna, ma in bolletta. Per legge. Per il gas invece FdI pensa a un tetto, più basso di quello tedesco perché gli spazi in manovra sono ridotti. A questo meccanismo, ancora più che sospeso, c’è anche l’idea di permettere la rateizzazione delle bollette per le imprese, che in questo momento rischiano di saltare in aria, ma anche bonus per le famiglie. E’ chiaro come tutto dipenda anche dagli appuntamenti e dalle trattative europee in corso nei prossimi giorni. Prima a Praga venerdì e sabato, poi a Bruxelles. Meloni confida molto nell’autorevolezza di Draghi e nelle capacità di Cingolani  che se fosse per lei confermerebbe ancora ministro della Transizione ecologica (stimato, particolare non banale, anche dall’ad di Eni Claudio Descalzi).   

Ma la voglia di discontinuità sbandierata in campagna elettorale la inchioda alla sua proverbiale coerenza. Anche se nessuno, nello stretto giro della leader, si sente in queste ore di chiudere la porta a un Cingolani bis. E’ vero, questo sì, che si attende ancora una volta che il premier uscente possa in qualche modo levare dal fuoco più castagne possibili nei prossimi vertici europei. E quindi in questa fase, per il ciclo i miracoli di realpolitik, Meloni si trova d’accordo anche con la Francia. In ottica anti tedesca. Sì, proprio così. Quando ieri pomeriggio le hanno letto le dichiarazioni del   ministro dell’Economia della Francia, Bruno Le Maire – “è essenziale agire insieme in Europa di fronte alla crisi energetica con una strategia globale” – non ha potuto che annuire.

Che sia una reazione dettata dalla ricerca di partner che contano per uscire dall’isolamento in cui rischia di trovarsi il futuro governo  o una constatazione di merito su un dossier cruciale è ancora tutto da capire. Di sicuro, c’è un atteggiamento sempre più cauto in queste ore da parte di Meloni, intenzionata a entrare a Palazzo Chigi se non in punta di piedi poco ci manca. E quindi un accordo europeo sul gas val bene Parigi. Sono d’altronde ore in cui telefoni, agenda e calcolatrice si intrecciano fra di loro. Da qui la scelta, per esempio, di evitare “rotture” con il governo uscente sul Consiglio europeo di Bruxelles: per l’Italia ci sarà  Mario Draghi. Basta dare un’ occhiata alle date: con le Camere che fra il 13 e il 15 eleggeranno i rispettivi presidenti, le consultazioni che inizieranno il 16 e l’incarico che il presidente della Repubblica potrebbe darle il 18  c’è poco tempo. L’idea di fare una corsa, di risalire al Colle il 19 con la lista dei ministri per giurare subito in modo da debuttare a Bruxelles, sembra vista come un’inutile fatica. “Non serve piantare una bandierina per dire: eccoci, montando su un treno in corsa, con dossier e interlocuzioni già avviate. Ci fidiamo di Draghi”, è il ragionamento che emerge dal quartiere generale di Meloni. La quale, problema non proprio laterale, si trova sempre a che fare con le richieste degli alleati sul futuro governo. 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.