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labour party nostrano

Blair archiviato qui da noi, Blair resuscitato dagli inglesi. La sinistra italiana è fuori sincrono

Luciano Capone

Enrico Letta dichiara che “il programma del Pd  supera finalmente il Jobs Act. Il blairismo è archiviato". Si trattava di una strada intrapresa con un decennio di ritardo rispetto a quella inglese da parte dei dem che, poi, sono diventati poi anti blairiani con lo stesso ritardo temporale

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Poche settimane fa, in piena campagna elettorale, il segretario del Pd Enrico Letta aveva dichiarato che “il programma del Pd  supera finalmente il Jobs Act, sul modello di quanto fatto in Spagna contro il lavoro povero  e precario. Il blairismo è archiviato. In tutta Europa sono rimasti solo Renzi e Calenda ad agitarlo come un feticcio ideologico”.

 

 

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  A supporto, poco dopo era arrivata una dichiarazione del ministro del Lavoro Andrea Orlando: “Blair si è archiviato da solo con la disastrosa guerra in Iraq. I rapporti della sinistra italiana con l’Urss li ha archiviati Berlinguer. Tutto il resto è noia”. Premesso che non si capiva benissimo cosa c’entrasse Tony Blair con il Jobs act, ispirato almeno nel nome a una riforma di Barack Obama, e che il Jobs act è stato votato nel 2015 da tutto il Pd incluso chi dice di aver archiviato Blair già nel 2003, la dichiarazione dei dirigenti dem è interessante perché mostra come il Pd si trovi spesso fuori sincrono rispetto alla realtà internazionale. Non solo la sinistra italiana è diventata blairiana con un decennio di ritardo rispetto a quella inglese, ma è anche diventata anti blairiana con lo stesso ritardo temporale, proprio mentre il Partito laburista inglese in qualche modo riabilita la figura di Blair e recupera la sua intuizione politica dopo un lungo ciclo di sconfitte elettorali.

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Il leader del Labour Keir Starmer, in chiusura del suo discorso alla conferenza annuale del partito che si è tenuta a Liverpool nei giorni scorsi, ha detto: “Siamo il partito del centro, siamo ancora una volta l’ala politica del popolo britannico”. Starmer ha fatto un riferimento fin troppo esplicito a Tony Blair, e in particolare a una formula usata nel manifesto laburista del 1997, la piattaforma politica che fece vincere le elezioni alla sinistra dopo un paio di decenni: “Il New Labour è il braccio politico del popolo britannico”. Starmer ha usato “political wing” anziché “political arm”, ma quell’“ancora una volta” era un inequivocabile riferimento alla formula politica, centrista e riformista, e al leader con cui i laburisti hanno vinto le elezioni l’ultima volta. 

Il cuore del discorso di Starmer, pur con una proposta politica più statalista e interventista di quella del New Labour  (d’altronde non siamo più negli anni Novanta e il contesto economico è molto diverso), è stato molto blairiano, rivolto alla classe media britannica. Dopo la sbandata corbyniana e la linea di estrema sinistra che ha condotto il partito a una sconfitta epocale, con Starmer il Labour cerca di convincere, come il New Labour negli anni ’90, gli elettori che sono passati ai Tory che il Labour è “il partito del centro”. E’ insomma un partito responsabile. Nel discorso Starmer ha elogiato la regina Elisabetta, simbolo delle istituzioni e del patriottismo, e ha preso l’impegno di far aumentare il numero di britannici proprietari di casa (una promessa, questa, che invece evoca Margaret Thatcher).

La formula pare funzionare visto che i sondaggi, complice il crollo della sterlina prodotto dall’annuncio del budget del governo conservatore di Liz Truss, danno il Labour 17 punti sopra i Tory, il vantaggio più ampio registrato da oltre 20 anni. Le possibilità che Starmer vinca le prossime elezioni, 20 anni dopo dalle ultime vinte dal Labour con Tony Blair, aumentano notevolmente. Visto che il Pd è in cerca di una nuova identità, e al suo interno sono forti le pulsioni corbyniane in salsa contiana, per non trovarsi ancora una volta fuori tempo è forse il caso che si metta in sincrono già da ora.

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