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L'intervista

Tabacci highlander, verso la settima legislatura. Come ha fatto? "Come al solito

Marianna Rizzini

È l'unico eletto di Impegno civico, il partito fondato con Di Maio. Ancora una volta in Parlamento. Meloni? "Metta sulla scrivania le foto di Renzi e di Salvini. Il Pd? Riparta dai diritti sociali, come dice Romano Prodi”

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Tutti se lo chiedono, davanti ai risultati del voto: ma come ha fatto, Bruno Tabacci, a essere anche stavolta Bruno Tabacci? Un deputato che lo conosce bene cita non a caso proprio il titolo del film “Essere John Malkovich” di Spike Jonze: “Di questi tempi, bisogna capire come essere Tabacci, altroché”.  Antefatto: Bruno Tabacci – settantasei anni, sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Draghi, democristiano storico, già presidente della Regione Lombardia a fine anni Ottanta, già assessore al Bilancio nella giunta Pisapia, sei volte parlamentare, fondatore di Centro democratico – oggi rientra in Parlamento, settima volta, risultando uno dei pochi eletti in collegio uninominale per il centrosinistra a Milano, e unico eletto per Impegno civico, per il resto fermo sotto l’uno per cento e con il ministro degli Esteri uscente Luigi Di Maio, altro vertice della lista, fuori dai Palazzi.

 

Gli dicono: “Tabacci highlander”, per sé e per gli altri (ha “prestato” due volte il simbolo a chi non faceva in tempo a raccogliere le firme, una volta a Emma Bonino, una volta a Di Maio, della cui mancata elezione si rammarica: “Non abbiamo avuto abbastanza tempo”). Due giorni fa, quando ha capito di aver vinto il collegio, Tabacci ha ricevuto circa trecento messaggi, alcuni increduli: ma come hai fatto?, gli chiedevano. “Come al solito”, ha risposto. Tabacci ha sostenuto il governo Conte 2, a differenza di Emma Bonino, ma dei Cinque stelle conosce i limiti (“sul reddito di cittadinanza, messaggio ambiguo e distorcente”). Ora se li ritrova resuscitati oltre il 15 per cento, ma quello che lo preoccupa, dice, “è quel numero: solo il 63,5 degli aventi diritto ha votato”.

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A Giorgia Meloni, invece, consiglia “di mettere davanti alla scrivania le foto di Matteo Renzi e di Matteo Salvini. Ricorderà che le leadership crescono in fretta, ma anche cadono in fretta”. Non è caduta in fretta, invece, la presa del candidato Tabacci sul territorio: “Sono un prodotto della prima Repubblica. E allora, nei grandi partiti, le carriere erano pianificate con lungimiranza”. Prima di entrare per la prima volta in Parlamento, nel 1992, anno di Tangentopoli, il sottosegretario uscente ha conosciuto da vicino la liturgia delle direzioni di partito (“chi stava al governo non poteva stare in direzione. Punto”). Segretario in Lombardia in anni in cui la Dc arrivava al 42 per cento, “figlio” politico di Giovanni Marcora, capo della segreteria tecnica di Giovanni Goria al Tesoro, con un giovane Draghi come consulente, Tabacci, letteralmente, ha visto nascere Seconda e Terza repubblica, e “calare drasticamente la qualità della rappresentanza”.

 

Lui è stato eletto con tutti i sistemi, in collegi uninominali e non, in zone bianche e rosse. “Il patrimonio di voti si costruisce. Stavolta mi sono aiutato anche con i social, ma come potenziamento di un metodo che, per me, è un’evoluzione del vecchio porta-a-porta”. Tempi analogici: “Si arrivava nei paesini e già c’erano pronti i segretari delle sezioni, quelli che conoscevano le famiglie e le persone, a cui ci si presentava presentati da loro, che già conoscevano tutti. Ancora ricordo alcuni numeri di telefono fissi dei capi-sezione di allora, vero nucleo del partito. Non correvi il rischio di arrivare e di essere sputacchiato dall’elettore. Giravi e giravi – quanto pane e salame ho mangiato, tutte le sere in giro, sezione per sezione. E alla fine le prendevi, 18 mila preferenze”. Domenica scorsa Tabacci è stato eletto con il 38,44 per cento dei voti. E ora? “Vedremo che cosa farà Giorgia Meloni. E che cosa farà il Pd: pensa di risolvere i problemi cambiando leader? Riparta dai diritti sociali, come dice Romano Prodi”. C’è stato un momento in cui Tabacci ha avuto paura di non essere rieletto per la settima volta? “Cito Ciriaco De Mita: dalla politica non ci si dimette. Non eletto, mi sarei inventato qualcosa”. 
 

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