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nuove generazioni

L'agenda Draghi è stata bocciata alle urne ma è maggioranza tra i giovani

Vincenzo Galasso

I giovanissimi hanno premiato i partiti che hanno supportato le politiche dell'ex presidente del Consiglio. Ma in queste ultime elezioni la condizione giovanile è rimasta fuori dai programmi di molti partiti

Le elezioni del 2022 hanno una chiara vincitrice, Giorgia Meloni. Ma anche una chiara strategia vincente: prendere le distanze dal governo Draghi. Fratelli d’Italia lo ha fatto da subito, scegliendo sin dall’inizio di non appoggiare il governo di unità nazionale. Era il febbraio 2021. Nelle intenzioni di voto, il partito di Giorgia Meloni era dato al 16,5%. Già in gran crescita rispetto alle elezioni del 2018, quando si era assicurato un modesto 4,3%. Ma ancora dietro alla Lega (23,5%) e al Pd (18,8%). Diciassette mesi di opposizione al governo Draghi hanno giovato al partito di Giorgia Meloni, passato al 25%, nelle intenzioni di voto di fine luglio, e al 26% nelle urne il 25 settembre.

 

Prendere, seppur tardivamente, le distanze dal governo Draghi sembra aver giovato anche al Movimento 5 Stelle. Alla nascita del governo Draghi, le intenzioni di voto per il M5s erano attorno al 15,4%. Ma sono rapidamente diminuite fino al 10% nel luglio 2022, quando il leader del movimento, Giuseppe Conte, ha scelto di staccare la spina al governo e, con Berlusconi e Salvini, di andare alle elezioni. Alle urne, il M5s ha riconfermato il dato che i sondaggi gli attribuivano prima dell’appoggio al governo Draghi: 15,4%. A voler sommare i voti dei partiti che dall’inizio (FdI), tardivamente (M5s) o dall’interno (Lega) hanno osteggiato, o almeno contrastato, l’operato del governo Draghi si arriva al 50%.

 

Un italiano su due ha premiato l’opposizione a un governo rispettato internazionalmente, che non ha applicato misure di austerity o tagli di spesa – come capitato in passato ad altri governi tecnici meno fortunati. Tutt’altro, il governo Draghi ha elargito bonus, ristori, sostegni. Ha guidato le campagne di vaccinazioni. Ha potuto iniziare a sospendere parte dei 191,5 miliardi di euro concessi dall’Europa con Next Generation EU, a cui ha aggiunto 30 miliardi di ulteriori finanziamenti. Ha delineato le riforme e gli investimenti del Pnrr. Eppure, hanno votato per i partiti che apertamente (Azione e +Europa) o meno (Pd) hanno appoggiato la “agenda Draghi” meno del 30% degli italiani.

 

Evidentemente, la narrativa populista di dipingere il governo Draghi come il governo delle élite finanziarie internazionali ha pagato. Ma non tra tutti gli elettori. Secondo i dati iXE, gli elettori più giovani – in età compresa tra i 18 e i 24 anni – hanno votato molto diversamente dagli altri. I giovanissimi hanno premiato i partiti che hanno supportato le politiche del governo Draghi (Azione, +Europa e Pd), dando loro più voti (complessivamente il 43,4%, di cui il 17,6% ad Azione) che ai partiti antagonisti del governo Draghi (FdI, Lega e M5s), che hanno raccolto complessivamente il 31,5% – con solo il 15,4 al partito di Meloni. Anche tra i gli elettori più anziani – gli ultrasessantacinquenni, i partiti pro-Draghi prevalgono, con un complessivo 40,4%, sui partiti anti-Draghi, 38,4%.

 

In tutte le altre fasce d’età, il malcontento ha prevalso, in maniera più accentuata per gli italiani tra 45 e 54 anni (20,5% versus 57,8%). Non è la prima volta che i giovani elettori mostrano preferenze diverse rispetto a quelle delle generazioni dei loro genitori o nonni. Nel referendum sulla Brexit, i giovani britannici votarono a favore della permanenza in Europa. Ma non si recarono in massa alle urne. Anche nelle recenti elezioni italiane il tasso di astensione è stato più elevato per i giovani, 39,8%, che per gli elettori più adulti. Una maggiore affluenza dei giovani alle urne non avrebbe modificato il risultato elettorale di domenica. Tuttavia, il significato del voto dei giovani non deve passare inosservato.

 

La condizione giovanile è rimasta fuori dall’agenda elettorale di molti partiti, che hanno preferito dedicare la loro attenzione agli elettori più anziani o al più promettere ai giovani delle mancette elettorali. Eppure ai giovani non è sfuggito che il loro futuro è più sicuro con le politiche introdotte e pianificate dal governo Draghi, che con le promesse elettorali dei partiti populisti. Che le loro prospettive future richiedono una maggiore attenzione all’istruzione, all’ambiente, alla crescita economica, non certo ai prepensionamenti con quota 41 o alle pensioni a 1.000 euro al mese.

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