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Calenda contro tutti

Jacopo Strapparava

Il leader di Azione arriva a Bologna mentre il suo vice, Ricchetti, è al centro di una polemica per presunte molestie. Lui promette denunce e picchia durissimo. Destra. Sinistra. Grillini. Giornali. È severo, duro, sprezzante. È l’anti-populista perfetto

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Bologna. Quando Carlo Calenda arriva all’incontro con i suoi sostenitori, è in corso un piccolo terremoto mediatico. "Fanpage si prenderà una denuncia" dice. "Il fango rimarrà attaccato sulle mani di chi lo tira. E a chi ha architettato tutto questo, dico: vi vergognerete a tempo di record". Fanpage - avrete letto – ha pubblicato un video in cui una donna con il viso oscurato accusa il senatore Matteo Ricchetti, che di Calenda è il braccio destro, di averla molestata. Una storia bruttissima - proposte oscene, mani sotto la gonna, baci non richiesti, foto del pene - tutto nell’ufficio di lui al Senato, nel novembre 2019 (Ricchetti, 48 anni, sposato con figli, risponde che non è vero niente, che contro di lui non ci sono querele, che la donna è già stata, lei sì, denunciata per stalking, ed è già nota alla magistratura).

Sono le 18.30 e siamo all’Opificio Golinelli, una vecchia fabbrica riconvertita a centro culturale, nella prima periferia della città, sulla strada che porta verso borgo Panigale. Convenute qui, in una sala bianca e asettica, sedute su seggiole di plastica, ci sono poco meno di quattrocento persone. Alle pareti, bandiere bianche con i loghi di Azione e di Italia Viva. E, sul palco, Carlo Calenda che picchia durissimo.

Primo obiettivo: la stampa (visto lo scandalo che gli è capitato tra capo e collo a una settimana dal voto, lo si può anche capire). "Il giornalismo in questo Paese ha preparato il terreno al populismo". Poi la Meloni ("Non sa cos’è la democrazia"). Salvini ("Dicevano che era pericoloso, al massimo poteva fare un colpo di Stato alla panetteria sotto casa"). Il centrodestra tutto ("Si sfracellerà entro quattro mesi"). I 5 Stelle ("Il partito di un buffone, infatti hanno fatto solo ridere"). Il povero Enrico Letta, un po’ per tutto ("Figlio mio, non si fa politica così"). Calenda è severo, duro, sprezzante. Per tutto il tempo in cui arringa i suoi, sembra di sentire un fratello maggiore, più diligente di noi, cui è toccato l’ingrato compito di rimettere la casa a posto. Ogni tanto, si ha la vaga impressione che sia sul punto di menare qualcuno.

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Il modo più facile di inquadrarlo è provare a ricostruire la sua storia. Il nonno Carlo era ambasciatore, consigliere diplomatico di Pertini, sposato a una principessa siciliana. L’altro nonno, Luigi, celebre regista, severo, austero, di fede valdese, ma sposato a una cattolica che volle far battezzare il nipotino. I genitori, Fabio e Cristina, ricchi di famiglia ma sessantottini. Lotta Continua, Pci. Vivono senza spendere una lira, poi divorziano, lei finisce regista come il padre, lui in una banca di investimento, ora si è ritirato in Salento e fa lo scrittore. E il giovane Carlo? Un ribelle. Si fa le canne, risponde male ai professori, marina la scuola per andare a giocare a biliardo. Tesserato Fgci, lavora in cucina alle feste dell’Unità. Poi, a 15 anni l’imprevisto: mette incinta la segretaria del nuovo marito della madre, molto più grande di lui, e la paternità precoce lo rimette in riga. A diciotto anni conosce la donna giusta, ci ha fatto altri tre figli e sono ancora insieme (il giorno prima del matrimonio si fece tatuare uno squalo sull’avambraccio ("Ero ubriaco", ha detto lui, "e comunque ora sono ingrassato e sembra più un tonno"). Laurea in legge. Carriera spettacolare: venditore di polizze porta a porta, consulente finanziario, trading di diritti tivù a Londra (dove conobbe Luca Cordero di Montezemolo), la Ferrari, Sky Italia, assistente di Montezemolo a Confindustria, qualche mese nel cda di Italo. E la politica: Italia Futura con Montezemolo, Scelta Civica con Mario Monti, il Pd. Ma quando i dem si apprestano a formare il Conte 2, in odio ai grillini, se ne va e fonda Azione.

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È in questa biografia che va ricercato il segreto del suo carattere. I suoi ammiratori dicono che è serio, tenace, competente, simpatico, imprevedibile, uno dei pochi politici ad aver davvero lavorato. Elogiano la sua precisione maniacale. Ricordano che è stato lui a risolvere la faccenda dell’Ilva quando era ministro (e questa da sola vale mille punti). I suoi detrattori replicano che è tecnicamente un esaltato. Lo chiamano «il Churchill dei Parioli» oppure «Bullo da solo». Mormorano che nel suo partito la vanità è tutto. Che non si può lavorare con uno che cambia idea ogni tre ore. Che è come la rana della favola, che, per sembrare grande come il bue, si gonfia, si gonfia, si gonfia, e finisce per scoppiare.

Noi, nel nostro piccolo, possiamo dire tre cose. La prima: ci sa fare, è molto più bravo di come appare in televisione. La seconda: non fa promesse, non racconta aneddoti, non la butta in caciara, vola alto, è l’anti-Salvini per eccellenza. La terza: forse ha davvero ragione quando dice che il suo partito, il 25 settembre, potrebbe essere la sorpresa. La sua scommessa è riuscire a prendere abbastanza voti da formare un governo di unità nazionale con il Pd e una Lega de-salvinizzata, e chissà se ci riuscirà. Di sicuro, la sua strategia di piazzarsi al centro e di rubare voti a destra e sinistra, ha avuto un senso. Lo voteranno i moderati, orfani di Silvio, che vedono in lui un riverbero dell’uomo del fare berlusconiano e, con tutta la buona volontà, proprio non se la sentono di scegliere un centrodestra con "centro" scritto molto piccolo e "destra" scritto molto grande. Lo voteranno molti esponenti della sinistra-fighetta – cosa ben diversa dalla sinistra-sinistra – che, a un certo punto, si sono guardati intorno e hanno sentenziato: il Pd? ma no, è così fuori moda. E poi la terza categoria, potenzialmente vastissima. Gente non troppo schierata, né da una parte né dall’altra, che si dice: li abbiamo provati tutti, lui è nuovo, si presenta bene, perché no?

Ed è solo alla fine, uscendo dalla sala bianca e asettica, mentre pensiamo ad altre categorie di possibili elettori, che ci torna alla mente una signora incontrata la settimana scorsa a un comizio del Partito democratico a Brescia. Sulla sessantina, elegante, distinta. Orgogliosamente dem. E insomma, non è che, per Letta, la signora si strappasse i capelli. Ma guai a nominarle il segretario di Azione. "Calenda?! Ma ha resuscitato Renzi! E ora candida la Gelmini! No, dico: la Gelmini! Come diavolo fa, un elettore di sinistra, a votare uno così?".

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