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Di nuovo sui banchi, ma come?

Paola Mastrocola: "Più che di stipendi più alti la scuola ha bisogno di promuovere cultura"

I leader politici sono d'accordo sull'equiparare i compensi al livello europeo, ma c'è un problema sotteso

Marianna Rizzini

Il ritorno alla "dimensione culturale", il ruolo del docente "come guida, come persona che illumina un'alternativa" (anche ai social). Parla l'insegnante e scrittrice

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Aumentare gli stipendi dei docenti, equipararli a quelli europei: un argomento che sembra mettere d’accordo leader politici di opposti schieramenti. Ma è possibile sostenere in futuro una spesa aggiuntiva (e costante) stimata tra i 6 e gli 8 miliardi di euro? Ed è davvero questa la soluzione quasi magica per una scuola migliore? E se lo è, che cos’altro manca, alla scuola, per essere all’altezza dei tempi difficili? Paola Mastrocola, ex docente e scrittrice, un anno fa ha scritto con il politologo e sociologo Luca Ricolfi un libro che ha fatto riflettere (“Il danno scolastico-la scuola progressista come macchina della disuguaglianza”, ed.Nave di Teseo). E oggi dice che sì,  sarebbe “felice di vedere raddoppiati gli stipendi dei professori”, ma che “non è tanto quello il punto, non l’unico e non il più urgente: si pensa sempre che i problemi della scuola possano essere risolti aumentando gli stipendi e in generale i fondi, ma non si sente molto parlare di cultura”, dice: “Ecco, mi piacerebbe che qualcuno, in campagna elettorale e non, riportasse la scuola alla sua dimensione culturale. E poi: si sente spesso parlare di stipendi dei docenti come se si alludesse alla reputazione sociale degli stessi. Ma è questo il problema? Si misura la reputazione sociale da questo? Fermo restando che, ripeto, sarei felice di vedere gli stipendi dei docenti crescere, penso che un docente dovrebbe prima di tutto essere stimato in quanto portatore di cultura, figura magistrale che crea attorno a sé un alone di autorevolezza. Mi intristisce che si finisca sempre sul tema dei soldi, quando si parla di scuola, e mai sull’urgenza di un piano di idee per la scuola”.

 

Da dove cominciare, però, dopo due anni in cui, se non si finiva sul tema soldi, si finiva sulla logistica post-Covid (banchi, mascherine, distanziamento)? “E’ difficile sentir nominare la sostanza, sulla scuola”, dice Mastrocola: “E sostanza significa, intanto, rendersi conto dell’emergenza vera: la miriade di giovani disinteressati, lontani dallo studio, persi. Sono giovani che noi disperdiamo”. Spesso si accusano i genitori: assenti, distratti, presi dalle loro vite caotiche. “Penso invece proprio al ruolo dei docenti”, dice Mastrocola: “Osservando i ragazzi, fin dalla scuola elementare, ci si rende conto che quando uno studente viene portato verso l’abitudine al pensiero, allo studio, e quando si cerca di trasmettergli amore per la scienza e per la cultura, quello studente spontaneamente si interessa. La sua vita diventa più piena senza bisogno di un massiccio uso dei social. Si può insegnare a  ragionare, a pensare, invece è come se si volesse soltanto riempire. E questo non è compito del genitore, non nel senso in cui quel compito può e deve essere svolto dalla scuola”.  

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La scuola che piacerebbe a Paola Mastrocola dovrebbe essere “ridotta nell’orario ma potenziata nella sostanza. Una scuola attenta: se io non esigo nulla dallo studente, se non controllo quello che un ragazzo fa, quello che pensa, quello che ha capito, quel ragazzo facilmente fa altro. L’insegnante deve tornare a essere una figura che guida, che ti porta, che illumina un’alternativa. Penso sia questa la prima cosa da fare, scardinando il modello di scuola fatto di riempimento eccessivo, di extra, di sostegno parcellizzato senza attenzione ai fondamentali — che nessuno sembra conoscere più. E poi ci si stupisce, e purtroppo è un fatto, della crescente incapacità di parlare, capire, leggere, esprimere un pensiero? Non possiamo lasciare che un giovane si esprima soltanto sui social”. Il problema torna di nuovo al genitore: come limitare, come intervenire? “Anni fa il genitore spesso doveva intervenire per limitare l’uso della playstation. Oggi ci sono i social. Ma io credo che, allora come oggi, non si tratti tanto di limitare quanto di far vedere che esiste un altro mondo. Se fai vedere che esiste, il ragazzo lo sceglierà sua sponte. Entrerà in quel libro, in quell’opera, in quel tema, si incuriosirà. Proviamo a riproporre Goethe invece di riempire la scuola di sportelli, corsi, esperti. Ci sono troppe voci. Torniamo all’essenziale, alla concentrazione su materie meravigliose, ora strette tra mille progetti. E’ un cambiamento di mentalità, ma secondo me è questa è l’urgenza, oggi”. 

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