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Ce lo chiede Giorgia!

Il programma della Meloni sull'Europa è la confutazione di tutto ciò che la Meloni ha detto sull'Europa

L'abiura di sé, della propria propaganda, pratica così tipica degli sfascisti che arrivano sulla soglia del potere, in questo caso colpisce per la repentinità e il candore

Valerio Valentini

L'elogio dei fondi europei, la necessità di spenderli bene. Nessuna citazione della Bce, né di euro, minibot, franco africano. La riscrittura del Pnrr? Solo secondo gli accordi già firmati. Il blocco navale diventa un furbizia lessicale per rimasticare l'agenda Minniti. E' il programma di FdI, ma sembra scritto da Draghi e Gentiloni

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La verità è questa: “Che l’Europa deve imparare a non trattarci da sudditi”. E questo “perché l’Italia è un contributore netto”. Anzi no, la verità è questa. “L’Italia è da sempre un contributore netto della Ue”. Per questo, “occorre sfruttare a pieno tutte le risorse messe a disposizione dall’Europa”. La prima affermazione è di Giorgia Meloni. La seconda, invece, pure. Certo, ci sta che allora, nella primavera del 2020, si urlava dai banchi dell’opposizione; e che oggi, al contrario, si punta ad andare in quelli del governo. Sta di fatto che il programma di Fratelli d’Italia per le elezioni del 25 settembre, sul capitolo europeo, è una confutazione di tutto ciò che Meloni ha sempre detto sull’Europa. E forse proprio per questo è apprezzabile. In certi casi, la lettura delle 40 pagine del dossier è quasi straniante, perché a essere rinnegate non sono esternazioni  vecchie di anni, ma slogan che ancora in questi giorni, in queste ore, esponenti di FdI rinnovano sui giornali. La necessità di “riscrivere il Pnrr”, ad esempio, svapora furbescamente nell’impegno a “un mirato aggiornamento” al fine di “rimodulare le risorse interamente italiane del ‘Fondo complementare’”. Dunque si interviene sui soli 30 miliardi stanziati dal governo italiano proprio per finanziare i progetti non compatibili coi parametri del Recovery. Quanto ai 191 miliardi del Pnrr che, quelli sì, arrivano da Bruxelles, bisogna “proporre alla Commissione di operare modifiche specifiche nei limiti di quanto stabilito dall’art. 21 del Regolamento europeo sul Ngeu”. Che è poi quello che spiega, ricevendo critiche dai sovranisti nostrani, il commissario Ue  Paolo Gentiloni.

Del resto, che ci sia una certa sconnessione tra quel che FdI fa a Bruxelles e quello che di Bruxelles FdI scrive nel suo programma lo si capisce a pagina 25, quando si invoca l’introduzione in Europa della “politica dei ‘dazi di civiltà’ nei confronti dei prodotti provenienti da stati extra Ue che non rispettano i nostri standard di tutela dell’ambiente”. Che è esattamente ciò che prevede il meccanismo Cbam, approvato dal Parlamento europeo il 22 giugno, quando FdI ha votato, guarda un po’, contro. Il sacro credo di Dio, Patria e Famiglia, viene ridotto a una vacuità simile: “Rilanciare il sistema di integrazione europea (sic!), per un’Europa delle Patrie, fondata sull’interesse dei popoli”.

Ci sono casi, poi, in cui l’apostasia viene velata da furbizie lessicali esilaranti. Come quando si affronta il tema dell’immigrazione e si avanza la proposta rivoluzionaria: “creazione di hotspot nei territori extra-europei, gestiti dall’Ue, per valutare le richieste d’asilo e distribuzione equa solo degli aventi diritto nei 27 paesi membri”, e questa cosa qui – questa cosa che è una rimasticatura dell’agenda Minniti che non dispiacerebbe a Emma Bonino – la si definisce, ma tra parentesi, “cosiddetto blocco navale”.

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Insomma l’abiura di sé, della propria propaganda, pratica così tipica degli sfascisti che arrivano sulla soglia del potere, in questo caso colpisce per la repentinità e il candore. E non c’è allora da stupirsi che le vecchie battaglia identitarie della Meloni vengano tutte ignorate. Ecco allora che la Bce, “questo organismo asservito ai diktat tedeschi” (cit. Meloni), in 40 pagine non viene mai citata. Di uscita dall’euro, minibot, franco africano, manco a pensarci. Delle modifiche alle regole finanziarie si parla con toni che perfino Mario Draghi, ormai, considererebbe tiepidi (“Revisione del Patto di stabilità e della governance economica europea, per garantire politiche di crescita e piena occupazione”). E allora l’Europa, quel mostro “da distruggere” perché imponeva le misure di riferimento su cozze e zucchine, ora diventa un faro di civiltà da prendere ad esempio per il salario dei docenti o il tetto al contante, la tempistica dei pagamenti dei contratti pubblici o la ridefinizione dello status di Roma Capitale, tutto da fare, immancabilmente, “secondo gli standard europei”, “in linea con i parametri europei”, “nel rispetto della media europea”. E’ l’introiezione del vincolo esterno. Ma patriottico. 

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