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Il caso

Orlando, Franceschini, Guerini: la campagna soft dei ministri Pd. Letta in allarme

Simone Canettieri

Mentre il resto della squadra di Draghi si spende da settimane per i propri partiti in vista delle elezioni, i tre big dem sono ancora molto defilati. L'ombra del congresso anticipato

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Al Nazareno sdrammatizzano: “Chi c’è, c’è”. Ma la campagna elettorale soft dei tre ministri di casa non sta passando inosservata. Anche perché gli altri uomini e donne dell’esecutivo Draghi sono più che mai in trincea (da Luigi Di Maio di Impegno civico a Stefano Patuanelli del M5s, passando per le combattive terzopoliste Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, fino ai più laboriosi sui territori come i leghisti).

Così, mentre Enrico Letta gira l’Italia da nord a sud con i famosi “occhi di tigre”, c’è il tridente governativo dem che sembra non aver ancora riscaldato i motori: pochissime dichiarazioni, zero comparsate in tv e rare iniziative pubbliche. Il più attivo è Andrea Orlando, capolista alla Camera in Liguria, che nell’ultimo mese (dal 29 luglio a ieri) è stato nei titoli Ansa per 67 volte. Ma va fatta una premessa duplice: il ministro del Lavoro è capodelegazione del Pd al governo, e dunque è fisiologico che intervenga sui provvedimenti, inoltre è il leader dell’ala sinistra del partito, posizione che da dieci anni gli consente una rendita di posizione in tutti i congressi. Orlando ha partecipato alla Festa dell’unità a Bologna e al Festival delle fornaci a Vicenza. Ha polemizzato con la destra, ma anche con Calenda e perfino con Conte. Per il ruolo che ricopre non appare comunque sovraesposto, anzi. Niente a che vedere con Dario Franceschini, leader della componente interna Area dem.

Il ferrarese ministro della Cultura è capolista al Senato in Campania. Il 16 agosto il suo ultimo tweet politico: “Cercherò di essere la voce al Senato di questa terra straordinaria, di questa città unica al mondo, da sempre e per sempre capitale della cultura”. Stop. Da quando è nota la sua candidatura è intervenuto solo per commentare le scomparse di Lorenza Carlassare e Piero Angela, più le iniziative del suo dicastero. Sicuramente darà il massimo in queste ultime tre settimane e mezzo di campagna elettorale. Così come il collega Lorenzo Guerini, leader ormai solitario di Base riformista, dopo l’esclusione di Luca Lotti. Il ministro della Difesa giovedì sarà nella sua Lodi (è capolista alla Camera nella circoscrizione Lombardia 4) per un evento. Nell’ultimo mese, da quando è nota la data delle elezioni, ha prodotto 12 dichiarazioni riprese dell’Ansa.  

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Se l’è presa con Calenda per “aver stracciato l’accordo da lui firmato”, poi con Salvini (senza citarlo) sulla leva obbligatoria e infine ha sottolineato che Dmitrij Suslov “spera nella vittoria del centrodestra”.

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Orlando, Guerini, Franceschini sono i tre capicorrente del Pd che Letta ha cercato di arginare con le liste senza tuttavia riuscirci troppo. La loro campagna a fari spenti viene vista al Nazareno (con un po’ di malizia) a specchio con quella di Stefano Bonaccini, attivissimo governatore dell’Emilia-Romagna con ambizioni (sempre smentite, certo) da segretario del Pd. Uno scenario che troverebbe l’appoggio di Base riformista e magari anche di Area dem se le elezioni dovessero mortificare troppo il Pd Letta. Con Orlando pronto a vestire, come sempre, il ruolo dell’opposizione interna. Uno schema che un altro governatore, Nicola Zingaretti, ben conosce. Tanto che con il varo del governo Draghi, e persa la scommessa “sul Conte 3 o il voto”, rassegnò le dimissioni in polemica con le “correnti interne” che lo avevano lasciato solo. Ora l’ex segretario è capolista alla Camera, ma forse potrebbe dare qualche consiglio al suo successore.

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