Il retroscena

Lo strappo di Conte in Sicilia allarma Letta: "Il M5s è un problema al sud"

Simone Canettieri

La rottura dell'alleanza sull'isola svela l'intenzione del leader grillino: "Da soli in certe regioni siamo fra il 15 e il 20 per cento". Allarme al Nazareno

 “Dobbiamo polarizzare, rischiamo che il M5s cresca troppo al sud”. Quando questo pomeriggio  Giuseppe Conte ha rotto  con il Pd alle regionali della Sicilia, al Nazareno il timore si è fatto tangibile. Dietro alle accuse di “tradimento” inizia a celarsi la paura che i grillini, vittime solitarie del sistema, possano riprendersi. “Veleggiamo tra il 15 e il 20 per cento in Sicilia e in Campania”, assicurano dalle parti  di Conte che rinuncia a correre in un collegio uninominale.


Secondo i sondaggi che piovono sulla scrivania del capo del M5s in Sicilia, dopo la decisione di staccarsi dal Pd alle regionali, la forbice di consensi potrebbe allargarsi fra “il 15 e il 20 per cento”. Idem in Campania e in Puglia. Il gradimento sarebbe leggermente inferiore in Calabria e Sardegna. Non è un caso che le pluricandidature dei big girino quasi tutte da Roma in giù, dove comunque si punta alla doppia cifra, nonostante l’estromissione di Virginia Raggi da tutti i giochi. Di lei e dei suoi uomini più fidati. 


Conte è convinto che una campagna “molto tecnologica” vissuta sui social e sulle tv con incursioni mirate nei territori possa in qualche modo risollevare il destino dell’ex partito del vaffa. E il tutto a discapito del Pd che sempre al sud ha anche la pattuglia dei candidati di Impegno civico di Luigi Di Maio che potrebbe drenare voti di lista al proporzionale ai dem anche se magari non dovesse riuscire nell’“impresa” di superare la soglia del tre per cento. 

La compilazione delle liste del Pd, fra candidati ritirati, vecchi tweet indigesti dei capilista e polemiche locali è stata comunque complessa e tortuosa, per non parlare dei posti da ricavare per gli alleati nei pochi collegi uninominali considerati contendibili. Sicché il caso Sicilia è diventato la spia di una strategia ondivaga da parte di Conte. Domenica in tv riapre al ritorno di fiamma con il Pd, il giorno dopo non solo ci ripensa, ma decide di candidare a governatore della Sicilia Nuccio Di Paola, salutando così l’alleanza con la vincitrice delle prime primarie rossogialle Caterina Chinnici. Una gioia per il centrodestra e dunque per Renato Schifani, ma un problema in più per il Pd siciliano, che diventa subito l’ennesima grana anche per quello nazionale, impegnato in queste ore in una battaglia sulle “devianze” che vuole combattere Giorgia Meloni, accusata anche di aver rilanciato, non pubblicato, il video dello stupro di Piacenza “per facili consensi”. Letta è convinto che la campagna elettorale debba ancora iniziare e che se ne riparlerà a partire dal primo settembre. La corrente di sinistra (Andrea Orlando) e quella di Area dem (Dario Franceschini) osservano l’andamento delle cose. Così come Lorenzo Guerini. Intanto il governatore Stefano Bonaccini continua a dire: “Modello Emilia-Romagna per il Pd, qui sappiamo vincere. Io ci sono per il paese”. Sicuramente ancora di più a partire dal 26 settembre.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.