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La destra italiana va stanata sulla reverenza verso Trump e Putin, non sui simboli del fascismo

Giuliano Ferrara

La vera urgenza di questa campagna elettorale è riflettere sulle carriere convergenti o complici del trumpismo e del putinismo. Appunti

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Forse c’è dell’esagerazione, perché alla fine Biden cade dalla bicicletta ma sa stare sulle sue gambe di presidente americano, con segnali di controtendenza rispetto alla tempesta dell’inflazione e notevoli risultati legislativi strappati al Congresso nonostante tutto, ma è un segnale sinistro la persistenza piuttosto tenace e la ulteriore degenerazione del trumpismo, con toni da guerra civile e abbondante semina di discordia istituzionale nel tentativo di scardinare un sistema di antica costituzione e le sue regole fino a ieri indiscusse. Ora c’è l’attacco al dipartimento di Giustizia, ai giudici indipendenti e all’Fbi, con la chiusura a riccio in una logica di banda contro la solidamente argomentata persecuzione in giudizio dell’ex presidente, su molti piani diversi,  trasformata in bandiera complottista e in reazione violenta contro lo stato di diritto; e sullo sfondo resta il disconoscimento antidemocratico dei risultati elettorali, che hanno negato al boss dei repubblicani radicalizzati un secondo mandato, disconoscimento ricalcato sul modello dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio, il tutto congiunto a una minacciosa prospettiva di ricandidatura, con richiesta di pieni poteri contro il “regime”.

Più che il fascismo storico italiano, e la comprensibile ma laterale querelle su simboli cultura e parole del capo della destra e del suo partito, bisogna preoccuparsi del suo rapporto con brutti ceffi alla Steve Bannon, delle tentazioni mimetiche emerse nei discorsi in Andalusia e alle convention della destra trumpista, con la torsione reazionaria e semplificata del tradizionalismo patriottico e familista, insomma dell’accoppiata Meloni & Salvini nella reverenza tributata ai due maggiori campioni dell’odio e della guerra alle democrazie liberali d’occidente, Putin e Trump. Di specifico nel manifesto per il 25 settembre non c’è alcunché, e già questo è un segno di ambiguità e dissimulazione preoccupante.

 

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Poco più di un mese dopo le elezioni italiane, mentre continua e si inasprisce l’offensiva putiniana armata contro l’Europa e l’asse euroatlantico, infurierà la battaglia per paralizzare con una ordalia elettorale il meccanismo istituzionale fondato su divisione dei poteri e controlli bilanciati. Ovvio che una affermazione elettorale dei repubblicani alla Camera dei rappresentanti e al Senato sarebbe legittima espressione della democrazia americana, e Biden e i democratici l’accetterebbero senza fiatare, ma la demagogia brutale di The Donald, e l’oscuro modo complottista che ha otturato la psicologia e il comportamento di milioni di suoi seguaci settari e condiziona con la sua potenza di rottura il bilanciamento bipartisan del sistema, può far pagare un prezzo politico e civile altissimo all’America e ai suoi alleati. E’ anche su questo che vanno commisurati il revival presidenzialista italiano e i relativi cambiamenti costituzionali a maggioranza qualificata, possibili senza argini sufficienti.

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Tutta la brava e querula gente, gli intellettuali in cima alla lista ma non solo loro, che passa il tempo a dire quanto e quanto dolosamente la sinistra elitaria ha dimenticato il popolo inventandosi il populismo come pretesto, dovrebbe riflettere alle carriere convergenti o complici del trumpismo e del putinismo, all’esplosione demagogica e autoritaria schiettamente illiberale, oligarchica e classista al di là delle bandiere e dei riti di setta dei forgotten men, che trionfa nei due fenomeni più minacciosi del nostro tempo. Non c’è tempo, spazio e modo di inchiodare Meloni e Salvini a risposte serie in materia, le scelte strategiche e di principio non sono fatte per essere discusse e chiarificate in campagna elettorale, e quindi il centrodestra riuscirà a sfuggire al dovere di misurarsi con il suo vero problema identitario. Ma far conoscere a tutti questo problema essenziale, in vista della deliberazione elettorale, è l’unico modo per fare un lavoro serio, proteggersi per quanto possibile da brutte sorprese, e per seguire la traccia, sempre invocata con totemismi e paramenti di insopportabile verbosità, dell’azione di un Sergio Mattarella e di un Mario Draghi.

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