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spaccature a destra

Centrodestra 1 x 2. Meloni si vede a Chigi, Salvini è un rebus. Mentre il Cav. vuole un nuovo governo

Luca Roberto

Se Draghi cade, cosa farà la coalizione? La leader di Fratelli d'Italia è convinta di essere il prossimo premier. Mentre nella Lega la tentazione del voto è bilanciata dal richiamo alla responsabilità dei governatori. Berlusconi: "Sì a un altro governo senza M5s"

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Sono come una schedina: ci si può scommettere su almeno tre esiti diversi. Avanti con Draghi senza il M5s. Subito alle urne, per canalizzare il trend dei sondaggi. O appesi a un senso dello stato che impone attendismo, un certo ossequio alla pragmatica della responsabilità. Sono Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Pur sempre i tenori di un'alleanza, quella di centrodestra, che nonostante tutto continua a sorreggersi. Scazzi quirinaleschi, debâcle amministrative, hanno fiaccato il morale ma non il disegno complessivo. Unire i puntini per ritrovarsi dove? Magari, un giorno, a governare il paese. Era questo l'auspicio dei tre. Che litigano sul candidato in Sicilia, avevano la secolare occasione di eleggere un presidente di centrodestra e l'hanno miseramente fallita. Hanno consegnato una città come Verona alla sinistra. E però, guardando al 2023, si dicevano: "Se non facciamo stupidaggini, la prossima volta tocca a noi". Solo che poi l'imminenza degli eventi, la stretta contingenza, hanno preso il sopravvento. E già nel giro di poche ore si poteva fare lo sforzo minimo di immaginare chi potesse essere il successore di Mario Draghi a Palazzo Chigi.

Scrutando attraverso le intenzioni di voto, prefigurare un governo Meloni I non sarebbe pura speculazione. Del resto, è lanciatissima. E se vale la regola per cui è premier colui che prende un voto in più, si capisce dove si andrà a parare dalle parti della destra. Solo che poi strizzando gli occhi ci si accorge che il piano è un po' troppo lineare. Perché bisogna pur sempre fare di conto con la realtà dei fatti. Che nel caso di specie vuole dire un cunicolo di posizionamenti difficili da leggere. Per dire, ieri Matteo Salvini ha detto che "senza il M5s noi non siamo disposti a sostenere un nuovo governo". Che suonava come un riavvicinamento, dopo che se ne sono dette di ogni, con l'amica-nenima Meloni. E però subito dopo cosa finiva per sostenere alle agenzie il presidente del Veneto Luca Zaia? In sostanza, che ci vuole responsabilità in un momento del genere, che gli istinti di stabilità, di governismo, dovrebbero avere la meglio. E insomma si affidava a un laconico "nel caso deciderà Mattarella". Tutt'altro che un avallo all'escalation definitiva. Anche se il pallino, dopo la scissione del M5s, c'è l'ha in mano il segretario della Lega. Che essendo il primo partito potrebbe rendere più rapido il ricorso alle urne. 

Fatto sta che anche le uscite di Berlusconi, secondo cui Draghi "dovrebbe andare avanti senza il M5s" non è che servano granché a mitigare il quadro. Anzi, lo complicano, lo rendono incerto. Fanno percepire un disallienamento dei pianeti a destra. Al punto che quasi echeggia quella previsione sibillina confessata al Foglio da Arianna Meloni, sorella di Giorgia, secondo cui "alla fine cercheranno di non far andare mia sorella a Palazzo Chigi". Soprattutto in questo momento dipende anche da quello che vorranno fare i suoi alleati. Ne faciliteranno l'ascesa o faranno di tutto per remare contro?

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