Palazzo Chigi

Lo scirocco di Draghi. Il premier porge la mano a Conte, il "ragionevole".

Carmelo Caruso

Si tenta ancora la mediazione con il M5s sul Dl Aiuti. La questione di fiducia resta in sospeso ma non si negozia sul termovalorizzatore di Roma. Si fa leva sul senso di "responsabilità" del leader del M5s

Con gli occhi era ad Ankara, con l’orecchio era a Roma, con la testa lo sa solo lui. Oggi, alle 16,30, Mario Draghi incontrerà Giuseppe Conte. L’idea che il termovalorizzatore di Roma non si faccia “non esiste”. La possibilità che Conte esca dal governo è “una scelta politica”. L’attenzione nei confronti del M5s è “inequivocabile”.

 

Se il leader della “non più prima forza di maggioranza” si accontenta della disponibilità e dell’attenzione del premier, non può che essere un bene per il governo. Se il leader della “non più prima forza di maggioranza” vuole imitare Matteo Salvini, la versione del Papeete, “faccia come ritiene”. Sembrava dovesse finire il mondo mentre adesso sembra quasi un aperitivo. Quanto si è virgolettato è raccolto da conversazioni con fonti varie ma tutte vicine all’esecutivo.

 

Si sa già che Conte si presenterà a Palazzo Chigi con una cartellina, il suo fascicolo di petizioni. Contiene i “punti del popolo” che non saranno 95 come quelli di Lutero, ma sufficienti per raccontare che, per merito del M5s (o almeno di quello che resta) alcuni temi “imbrescindibili” sono stati tutelati.

 

Prima di partire per la Turchia, e incontrare Erdogan, insieme a una delegazione ministeriale, il premier ha voluto prendere per sincere le rivendicazioni del M5s e valutarle nei limiti del possibile. Gli ha proposto un “patto tra gentili”, vale a dire la promessa di non porre la questione di fiducia sul Dl Aiuti, ma con il conseguente impegno a votarlo entro il 16 luglio in Aula.

 

Per tutta la giornata si è trattato su emendamenti del M5s. Alle 19 si rimandava tutto a stamattina. Sul termovalorizzatore di Roma, anche viste le condizioni imbarazzanti in cui versa la città, il premier vuole invece lasciare al M5s la possibilità di “aggiustare” la sua posizione. Raccontano che dal governo abbiano dovuto perfino spiegare, a molti dei parlamentari di Conte, che la “fiducia impedisce di votare per parti separate” che è l’uscita di sicurezza del M5s. Di crisi extraparlamentari è piena la storia della repubblica, ma questa è la “non crisi dello scirocco”. Pensieri sciroccati, incontri rimandati, allucinazioni.

 

Al governo adesso si separa la figura di Conte, a cui viene riconosciuto il merito di avere “moderato” una forza antisistema, dal “cerchietto” di cui si circonda, quel politburo che sembra uscito dai libri di Milan Kundera. E’ composto da figure che, anche dalle parti del Pd, vengono definite “frange estreme” e che Conte “per statura, non dovrebbe assecondare se non vuole sporcare il suo nuovo curriculum da ex premier”. Pochi lo hanno sviscerato ma durante l’ultima conferenza stampa, Draghi ha usato con il M5s, e con Conte, lo strumento della seduzione, quasi della lusinga, verso una forza che, non va dimenticato, è nata sul turpiloquio. Di solito chi crede di non essere rispettato, come lamenta Conte, è un insicuro a sua volta.

 

A Conte, che vuole sentirselo dire, si riconosce invece “l’indole ragionevole, il ruolo indispensabile svolto in questi anni”. Un tempo, insieme ai tassisti che proprio ieri hanno lanciato fumogeni contro Palazzo Chigi (sono ancora reflussi del Dl Concorrenza) probabilmente ci sarebbero stati i deputati e i senatori del M5s, ma oggi non più, anzi, a essere fischiati erano i parlamentari del M5s. Ripristinata questa verità non c’è nulla da aggiungere.

 

E’ Conte che, per paradosso, deve conservare la sua immagine di governo e non più Draghi che deve allungare la vita al governo. Si ritiene, e lo ritengono alcuni ministri, che uno strappo di Conte finirebbe per ingrossare il nuovo gruppo di Di Maio. E se non fosse Conte a scatenare la crisi, ma Salvini, sarebbe il gruppo di Giorgetti a ingrossarsi. La frase di Giorgetti, durante il federale della Lega, “tolgo il disturbo”, è una frase “aperta” e si aggiunge a “mi accusate di essere un incrocio tra Rasputin e Andreotti. Se volete fare la rivoluzione, auguri”. Al momento il saldo è questo: il M5s è un partito dimezzato, la Lega ha il suo vicesegretario pronto a sbattere la porta. Anziché uscire dal governo sia Conte e Salvini stanno rischiando di essere messi fuori: uno dal suo partito, l’altro da una coalizione di cui era “riferimento”. Resta a entrambi lo ius opposizionis.
 

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio