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c'è vita oltre Salvini

Prove di destra draghiana

Claudio Cerasa

Combattere la politica della nostalgia. Difendere i valori dell’occidente. Opporsi ai nemici della democrazia liberale. Il manifesto ultra europeista del governatore Fedriga (Lega) è un caso di studio. Chiacchierata a Gorizia

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È un manifesto europeista, il suo, ed è anche un abbraccio sincero a tutto ciò che la guerra in Ucraina ci ha ricordato che dobbiamo amare, proteggere, difendere e non disprezzare. E dunque, dice lui, non si può avere alcun dubbio su chi sia, in Ucraina, l’aggressore e chi sia l’aggredito. E non si può avere alcun dubbio, dice sempre lui, sul fatto che una politica moderna debba combattere la nostalgia del passato, occupandosi contemporaneamente di come rappresentare la stagione della responsabilità. E quindi, anche qui, nessun dubbio. L’Europa deve essere più forte, non più debole, e le istituzioni europee devono lavorare necessariamente a una nuova e maggiore integrazione per arrivare, finalmente, a una moderna politica industriale europea, perché, in un mondo popolato da giganti, muoversi da topolini può essere pericoloso. Lui è Massimiliano Fedriga, è il governatore del Friuli Venezia Giulia, è il presidente della Conferenza stato regioni, è un leghista del nuovo millennio, il più draghiano forse dei leghisti di governo, e giovedì, a Gorizia, nel corso di un pomeriggio organizzato da Ambrosetti sul tema del cambiamento, ha accettato di sfruttare un assist del Foglio, sotto forma di domanda, e ha ragionato per qualche minuto con noi su cosa significhi oggi mettersi alle spalle la stagione della rincorsa alla nostalgia.

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È un manifesto europeista, il suo, ed è anche un abbraccio sincero a tutto ciò che la guerra in Ucraina ci ha ricordato che dobbiamo amare, proteggere, difendere e non disprezzare. E dunque, dice lui, non si può avere alcun dubbio su chi sia, in Ucraina, l’aggressore e chi sia l’aggredito. E non si può avere alcun dubbio, dice sempre lui, sul fatto che una politica moderna debba combattere la nostalgia del passato, occupandosi contemporaneamente di come rappresentare la stagione della responsabilità. E quindi, anche qui, nessun dubbio. L’Europa deve essere più forte, non più debole, e le istituzioni europee devono lavorare necessariamente a una nuova e maggiore integrazione per arrivare, finalmente, a una moderna politica industriale europea, perché, in un mondo popolato da giganti, muoversi da topolini può essere pericoloso. Lui è Massimiliano Fedriga, è il governatore del Friuli Venezia Giulia, è il presidente della Conferenza stato regioni, è un leghista del nuovo millennio, il più draghiano forse dei leghisti di governo, e giovedì, a Gorizia, nel corso di un pomeriggio organizzato da Ambrosetti sul tema del cambiamento, ha accettato di sfruttare un assist del Foglio, sotto forma di domanda, e ha ragionato per qualche minuto con noi su cosa significhi oggi mettersi alle spalle la stagione della rincorsa alla nostalgia.

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Lo ha fatto, Fedriga, usando parole nette, non ambigue, e provando a indicare una via nuova, e non sfascista, per il partito di cui fa parte: bisogna governare la globalizzazione, non combatterla, dice, e bisogna difendere la democrazia liberale, sempre e comunque, senza ambiguità. Bisogna farlo anche se nel passato l’occidente ha commesso degli errori ma bisogna farlo senza dimenticare mai quali sono i benefici offerti alla società del benessere dalla democrazia liberale.

“Una parte della popolazione del nostro paese, in modo inspiegabile e illogico, non si riconosce più in quei processi e in quei diritti che sono alla base della democrazia occidentale, dimostrando invece una forte sfiducia verso le istituzioni. Di fronte a tutto questo non possiamo voltarci dall’altra parte. Le istituzioni non possono avere un atteggiamento passivo”.

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“Non dobbiamo consentire che vengano negate le battaglie combattute nel passato per garantire democrazia, libertà e benessere ai nostri cittadini”. Inizia così Fedriga ma poi continua ancora, come un fiume in piena. Non è uno sfogo, non è un messaggio indirizzato a qualcuno, è una visione alternativa, non complementare, a quella messa in campo da una destra a trazione sovranista e nazionalista, che l’Europa la considera utile solo quando si comporta come un bancomat, che le democrazie liberali fatica a difenderle fino in fondo e che di fronte all’aggressione dell’Ucraina non sempre ha la forza di mettere su due piani diversi chi sostiene l’aggressore e chi sostiene l’aggredito. Abbiamo preso un po’ di appunti, mentre Fedriga parlava, anche se lui forse non se ne è  accorto, e abbiamo pensato che il manifesto europeista di un presidente di regione importante fosse una testimonianza altrettanto importante per capire che anche in Italia un’altra destra, meno populista e più draghiana, forse è possibile.

 

Sentite qui. “Noi presidenti di regione abbiamo vissuto un cambiamento epocale che è stato prima di tutto quello della pandemia. La pandemia ha cambiato il modo di vivere, ha cambiato il modo di lavorare, ha cambiato la sanità, ha cambiato i nostri rapporti con l’Europa, con il mondo. Il cambiamento a cui dobbiamo lavorare non è dunque quello in cui si coltiva la nostalgia per il passato ma è quello in cui si costruisce la responsabilità per il futuro. E’ quello in cui si governa il processo della globalizzazione, evitando di commettere ancora errori commessi nel passato. Per esempio, consegnare asset fondamentali per il continente europeo a paesi terzi. E indifferentemente da chi è il paese terzo si capisce facilmente ora più che mai che quando una realtà come l’Unione europea aziona un motore con delle chiavi che non si trovano nella propria tasca rischia di ritrovarsi in una situazione estremamente pericolosa se qualcuno quelle chiavi le mette nel cassetto. Lo abbiamo visto in questi mesi sulla componentistica, con la carenza di microchip, che ha bloccato intere filiere produttive. Su questo punto, su questo tema, credo che l’Europa debba porsi una riflessione di cambiamento nell’approccio alla politica industriale. La proposta che abbiamo fatto in modo molto umile come regioni, ché siamo una parte piccola di un sistema molto complesso, è: ‘Perché non affrontare la questione della componentistica come si è affrontata la questione dell’agricoltura?’. Quando c’è un prodotto a basso valore aggiunto ma il prodotto è fondamentale per la filiera forse un intervento europeo che possa sostenere quelle produzioni o una parte della produzione all’interno dell’Ue è importante per garantirci il minimo di autosufficienza necessaria a non andare in crisi alla prima tensione internazionale. Purtroppo l’Europa di politica industriale ne ha fatta poca, non è stata coesa, i paesi non si son difesi reciprocamente. Questo è un problema che dobbiamo porci anche in relazione alla crisi internazionale che stiamo vedendo in Ucraina”.

 

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Fedriga fa una pausa e poi torna ad argomentare. L’idea di avere una politica industriale europea più forte significa considerare l’integrazione tra i paesi europei più importante rispetto alla loro autonomia sovranista. Conta il sovranismo europeo, non quello nazionalista.  “Rispetto all’Ucraina dobbiamo dirlo con forza che in questa guerra c’è un aggressore e un aggredito e non c’è dubbio che tutti noi dobbiamo difendere con altrettanta forza i valori occidentali e i valori delle democrazie occidentali che hanno consegnato alla nostra generazione una stagione di pace,  libertà e benessere. Dopo di che se mi si chiede se l’occidente ha dei problemi io rispondo: sì, sicuramente sì. Se mi si chiede se l’occidente ha fatto degli errori io rispondo altrettanto sicuramente sì, senza dubbio. Ma tutto questo ragionamento non può mettere in discussione i valori che l’occidente rappresenta. Non possiamo pensare per esempio che se vi sono delle frange, presenti anche nella popolazione italiana, che guardano con ammirazione a modelli che si avvicinano più alle dittature rispetto alle democrazie possiamo liquidare questo fenomeno affermando che quelle frange ‘inseguono solo delle fake news’. Dobbiamo porci l’interrogativo su quali siano le criticità del modello occidentale che fanno sì che persone normali, non persone che vengono dall’altra parte del mondo, possano guardare a modelli non democratici. Liquidare questi problemi affermando che quelle frange siano composte solo da matti significa non voler affrontare i problemi. E’ questo il processo di cambiamento che l’Europa deve affrontare”.

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E che cosa significa essere europeisti oggi? Sentite Fedriga e capirete perché è difficile, ascoltando queste parole, non pensare a chi, invece, come diversi compagni d’avventura dello stesso Fedriga, l’Europa più che sostenerla cerca ogni giorno un motivo per denunciarla di ogni nefandezza. “Rispetto all’Europa io dico che l’Europa può sbagliare, perché è fatta da persone che come tali possono sbagliare, sono umane, ma penso anche che il nostro compito sia difendere i valori europei e quindi correggere anche l’Europa se sbaglia, ma in un’ottica  precisa: quella di chi si muove volendo promuovere e affermare alcuni valori che l’Europa difende. E’ una sfida difficile dove non penso esistano soluzioni scontate. Quanto sta avvenendo in Ucraina ci porta anche verso un cambiamento di approccio verso la difesa del modello occidentale. Perché non c’è dubbio che oggi stia cambiando l’approccio dell’occidente in Ucraina. E’ molto diverso da quanto avvenuto in Crimea. E’ molto diverso rispetto a quanto avvenuto in Georgia. Questo cambiamento, dal mio punto di vista, è propedeutico anche rispetto a pericoli futuri. Pensiamo a cosa possa avvenire, per esempio, e cosa sta avvenendo nei rapporti con la Cina. Momenti di riflessione come questo, anche nel nostro piccolo, sono importanti, e sicuramente aiutano ad avere una consapevolezza collettiva. La consapevolezza di una comunità è fondamentale proprio per evitare e cercare di limitare sempre di più quei rischi di degenerazione di frange seppur minoritarie che invece si allontanano dal modello di libertà e democrazia che abbiamo difeso e vogliamo difendere. E’ per questo che le sfide quotidiane fondamentali che abbiamo per l’economia, per il commercio ci impongono di avere un approccio nuovo, che ci costringe a non guardare soltanto a noi stessi ma a capire che oggi siamo di fronte a un nuovo modello globale. Un modello che è stato finora gestito male, che dobbiamo cambiare, ma che non possiamo negare. O quel modello lo affrontiamo nel modo giusto o ne saremo travolti. Non esiste dire ‘non lo voglio’, non esiste dire ‘non voglio quel modello’. Esistono dei processi che non sono nella nostra disponibilità ma che dobbiamo cercare di affrontare al meglio e sicuramente il cambiamento di approccio è un cambiamento che dobbiamo mettere in atto. In tutto questo noi abbiamo un serio problema nella politica: non ha mai guardato al dopodomani. Quando mi sono insediato in questa regione abbiamo finanziato degli interventi che saranno probabilmente pronti tra sette, otto, nove anni. E ho detto che  sono interventi importanti ma non impossibili. Perché nessuno li ha finanziati prima? Perché chi finanziava non tagliava il nastro. Se noi ragioniamo in questo modo e non siamo in grado di guardare come istituzioni a qualche anno più avanti rischiamo di fare le politiche soltanto dell’oggi ma di non costruire un futuro per il domani”. Una destra draghiana è possibile. Più europeista, meno nazionalista, più pragmatica, meno nostalgica, più desiderosa di essere protagonista nella stagione delle responsabilità. Con un dubbio: la destra che sogna Fedriga è probabilmente la stessa che sogna la nuova Lega. Ma la destra che sogna la nuova Lega è la stessa che sogna Salvini?

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