(foto Ansa)

Il ritratto

Paragone da una gabbia all'altra. Così recluta i reduci gialloverdi e spunta fra i sondaggi

Il nuovo partito si struttura, lancia candidati alle amministrative, contesta Draghi e inizia ad avere le prime risposte in termini di consenso

Simone Canettieri

Il fondatore di Italexit scava la Lega di Salvini e raccoglie l'ultima schiuma del passato grillino: no vax, no green pass, comprensivo con Putin. Radiografia di un fenomeno in crescita

Gianluigi Paragone batte i luoghi dei delitti gialloverdi. Con sapienza e metodo scientifico. Vuole completare il lavoro. Chiudere il cerchio. Sembra avere un lumino in una mano e un cucchiaio nell’altra. Fa luce e scava. Eccolo dunque a Bologna: 9 aprile, piazza Maggiore, già cara a Beppe Grillo e alle Sardine. Sta cantando a squarciagola: “Io non sono democratico / alè-oò”. Il microfono lo stringe Povia, al suo fianco. Su Instagram spunta il cuoricino del ct della nazionale Roberto Mancini. Colpo d’occhio: c’è tanta gente. Centinaia di persone, migliaia. L’iniziativa si chiama No-Draghi day. E’ un format. Questo sabato si replica a Palermo. Nel frattempo il senatore diventato leader si tuffa fra i balneari. Sta con coloro che ripudiano la mano matrigna dell’Europa (“non svendiamo le nostre coste alle multinazionali!”).

Ce l’ha anche con gli immigrati che picchiano i nostri anziani “e la fanno franca”. Difende Stefano Puzzer. Sì, il portuale triestino caduto (cioè licenziato per assenteismo) “per mano  della dittatura sanitaria”. Attenzione: questa è l’ossessione della casa. Di più: è l’iniziale ragione sociale di tutta questa nuova avventura: Italexit. Tuttavia Paragone è internazionale. Ha una buona parola, certo, anche per Alessandro Orsini, “il prof. vittima della libertà d’informazione dei quaquaraquà”. Appena può interviene su Radio Radio. Già nota Suburra di Enrico Michetti, il tribuno meloniano che sognò di diventare sindaco (forte della storia del cavallo di Caligola e degli insegnamenti di Augusto).


Eccolo a Bologna, il 9 aprile, nella piazza Maggiore che fu di Beppe Grillo. Colpo d’occhio: c’è tanta gente. Centinaia di persone, migliaia


Deve comunicare, e lo sa fare. Dunque: toc, toc. Spesso bussa alla piattaforma Byoblu di Claudio Messora, architetto italiano della disinformazione. In mezzo le amministrative. E il lancio di candidati un po’ ovunque. In tv (Fuori dal Coro, Rete4) dice che Zelensky vuole la Terza guerra mondiale e che Putin non è un dittatore. In piazza sfida il premier a spegnere l’aria condizionata in Parlamento come test sulla pace. Trova il tempo per battezzare con selfie sbilenchi neo parlamentari e consiglieri comunali. Fa shopping fra i partiti che lo hanno generato e nutrito. E cioè Lega e M5s. Di cui sembra aver rispolverato il famigerato contratto di governo di quattro anni fa con l’aggiunta di due anni di pandemia sul groppone e una guerra in corso. 

Hai visto Paragone?”. La domanda è sempre più frequente in Transatlantico. I suoi ex colleghi pentastellati e i (pochi) amici di via Bellerio si danno di gomito: “Hai visto che sta combinando quel furbone del Para?”. Per i grillini duri e puri è un Dibba che ce l’ha fatta (i due hanno condiviso un appartamento a Roma e sarebbero dovuti partire anche per un tour nei teatri, Cochi e Renato anti-sistema). Paragone, 50 anni, è il senatore che visse almeno tre volte. E’ stato secessionista con Umberto Bossi e Roberto Maroni. Dunque direttore della Padania con lunga incursione – quota Carroccio – in Rai. Obiettivo: essere il Santoro di destra. Poi è diventato il re della Gabbia, su La7. La trasmissione fu la scuola di formazione politica per la classe dirigente gialloverde per le ultime elezioni. La risposta italiana all’Ena francese. Infine 2018: entra con il M5s a Palazzo Madama. Quota: società civile. Categoria: giornalista. Con i grillini è durata per un po’. Fino all’abbraccio di Conte con il Pd. Ottima scusa per indignarsi, fare la vittima, sentirsi un nuovo Dreyfus e mettersi in proprio. “Il Para” riprende il Salvini pre Papeete con una propaganda da Bestia purissima di morisiana memoria. Ma si rifà anche al Sacro Blog della gestione casaleggiana nell’informazione ai bordi della bufala (con tanto di sito www.ilparagone.it che giusto ieri rilanciava la storia dei bambini a cui forse il vaccino potrebbe aver provocato problemi di salute). Intanto sogna l’uscita dall’Europa, inguaribile romantico. 


Italexit ormai è una presenza stabile nell’ultima colonna delle intenzioni di voto. I ricercatori di tutti gli istituti lo hanno notato, registrato e catalogato


La notizia insomma è che Gianluigi Paragone ha fatto capolino nei sondaggi. E non se ne vuole più andare. Di più: la sua Italexit ormai è una presenza stabile nell’ultima colonna delle intenzioni di voto. In compagnia di Sinistra italiana, Italia viva e Azione. Il partito paragonista oscilla fra il 2 e il 3 per cento da tre settimane. I ricercatori di tutti gli istituti lo hanno notato, registrato e catalogato.

Ed è questa la vera sorpresa alla voce “piccole ma interessanti cose della cucina politica italiana”. Sono gli avanzi. Anzi, le scorie di una stagione che sembrava alle spalle. La sbornia generale non è finita, restano gli irriducibili. Gli “ancora, ancora”. Ecco dunque il lumino che il senatore brandisce per dare luce alle viscere del malcontento. Per surfare sulla schiuma italiana rimasta dopo due anni di Covid con “piazze pazze che fanno a pizze con la polizia”. Paragone insiste: no al vaccino, mai il green pass, basta con le mascherine, maledetti che ci strozzate con le bollette, e ora stop al banchiere di Palazzo Chigi: pussa via! Il nemico è il Pd. Giorgia Meloni è rispettata. Deve fare massa criticissima. Non mollare, aggregare di tutto: putiniani rossobruni, ultras, fruttariani, imprenditori disperati, folgorati dalla Madonna, generali golpisti, disoccupati, forconi, ristoratori, neo borbonici, gli agitati di “Io apro”… Il lanternino serve al neo leader per cercare i voti una volta presidiati e ammaestrati dal Carroccio con la felpa e dai grillini. 

Paragone ascolta tutti. La spara grossa. Presidia uno spazio che esiste. Dà in pasto ai suoi social   le storie dei microchip sotto pelle. Gli piacciono i senza patria, e lui piace a loro. Ha i tempi della comunicazione. Sa stare in tv, certo. Ma soprattutto in piazza tra la gente. Dal palco doma tutti. Come in una gabbia, appunto. Lo scorso gennaio ha organizzato a Milano un evento con migliaia di persone. Ospite d’onore: Luc Montagnier, già premio Nobel, stella dell’internazionale No vax, che morirà dopo due settimane. Sarà quella, in Italia, l’  ultima uscita pubblica del malandato scienziato. La scomparsa di un simbolo e di una guida morale. E così, intanto, Paragone tira fuori il suo cucchiaio di legno: scava la Lega che fu la sala giochi del Capitano. E lo fa piano piano. Getta ami sui territori e tira su. In Lombardia le cose vanno bene. Poi, visto che c’è, dà una grattata anche agli ultimi residui meridionali del M5s pre-contiano, ancora fermo a “mai con il Pd, partito di Bibbiano”. 

C’è un pasto caldo e un tetto per tutti: è casa Paragone. Che diventa anche l’ostello di CasaPound. I fascisti del terzo millennio si sono scissi, ma senza schiaffi futuristi, pare. Una parte di loro ha iniziato una nuova marcia. Ci sono contatti, candidature d’area, consiglieri municipali entrati in Italexit, via Lega. Sempre a Roma, nel Lazio, anche dalle parti di Forza Nuova chi è a piede libero sembra essere sensibile al fascino di Italexit. E’ il partito calamita, fondato sul “noi e loro”. Il ritorno dell’uguale. Sicché da una parte ecco spuntare sui social i faccioni sorridenti di Draghi, Speranza, Salvini, Di Maio, Letta e dall’altra c’è lui. Da solo. “Contro loro che ridono, mentre gli italiani piangono”.  E’ un film già  visto, ma in scala ridotta. Cortometraggio e sequel di com’eravamo nel 2018. Non va sottovalutato. L’uomo è furbo: fiero di essere populista, sovranista, contro Big Pharma e il green pass, contro l’invio di armi all’Ucraina. Anzi, anche Putin ha fatto cose buone. Sulla guerra dice ciò che un pezzo di elettorato di destra vorrebbe sentirsi dire da settimane, ma senza ottenere risposte. Ci pensa lui. Incarna le pulsioni represse di chi adesso siede nel governo, con la felicità di chi si sottopone alla periodica visita di controllo dal nutrizionista. 

 

Il capo ha una passione per il rock duro. In gioventù ha fondato il gruppo Babbi di Minkia, nella maturità evoluti in SkassaKasta. “Si scende a Roma. Nelle cuffie i Metallica. Tra le mani il libro di Elio Lannutti sulle banche”, scriveva sui social quando era un colonnello grillino di stanza in Senato. E proprio a Palazzo Madama sembra aver messo su una nuova band. Alle percussioni (bongos) potrebbe starci Giarrusso, il mitico Marione Giarrusso. Personaggio totale. Espulso dal M5s perché era sempre altrove quando bisognava restituire come da accordi parte dello stipendio (Giarrusso è raccontato soprattutto da una foto: fuori dalla giunta delle autorizzazioni del Senato rispose alle critiche del Pd mimando il segno delle manette in omaggio ai genitori di Matteo Renzi). A Palermo oggi, davanti al teatro Massimo, ci sarà anche lui.  Del gruppo di Italexit fa parte anche Carlo Martelli, presidente dei senatori M5s nella passata legislatura, ricandidato e subito espulso prima che iniziasse l’attuale. Anche lui inciampò con i suoi sandali francescani, che indossa anche d’inverno, sul vil danaro dei mancati rimborsi. Tipo ascetico, Martelli. Potrebbe suonare lo xilofono. Un metro e novanta di complotti, di eloquio contro i poteri forti, la ricchezza e, ovviamente, l’olio di palma. L’ultimo arrivato è l’ex salviniano William De Vecchis, senatore eletto nel litorale romano, da sempre vicino a mondi della destra, senza questionare troppo su quanto sia estrema. Va messo alla batteria. Da quando il senatore ha lasciato Matteo per abbracciare Gianluigi si è verificato un piccolo esodo nei municipi romani. Qualche consigliere qua e là lo ha seguito. Da segnalare  Alessandro Aguzzetti a Ostia, ex CasaPound poi salito e sceso dal Carroccio, e Alessandro Montanini. La destra nera capitolina è sempre in movimento. A Roma  non è passata inosservata la mossa di Simone Di Stefano, ex segretario di CasaPound che, dopo aver chiuso l’ultraventennale sodalizio con Gianluca Iannone e le tartarughe frecciate, ha lanciato lo scorso febbraio un nuovo movimento che strizza l’occhio ai No vax ma con l’idea di “sottrarsi al dibattito scientifico” per riportarlo “nella giusta dimensione politica”. Indovinate come si chiama il nuovo movimento? Exit. Potrebbe confluire al momento giusto, chissà. 


Il partito conta quattro senatori compreso il leader. Che intanto lancia  candidati per le amministrative e nomina coordinatori regionali


Comunque il partito di Paragone al momento conta quattro senatori, compreso il capo. Ce ne sarebbe anche un quinto, il cui ingresso però rimane in sospeso: si tratta del mitico Lello Ciampolillo. E’ quello della spaccata per votare in extremis la fiducia al Conte II, prima della caduta del governo rossogiallo. La pratica per ora è congelata. Di fatto c’è un disegno, e c’è un piano nella testa del fiero populista prima verde e poi giallo. Il suo partito giorno dopo giorno si struttura in tutte le regioni d’Italia con un coordinatore. In Sicilia c’è l’avvocato catanese Luigi Savoca, in Lombardia Massimo Zanello, in passato assessore regionale per la Lega Nord. In Emilia Romagna è stata scelta Mia Gandini. In Puglia ci pensa a Mario Conca, già candidato sindaco a Gravina e così via. Insomma da nord a sud la macchina di Paragone è in movimento. E fa proseliti. Organizza banchetti. Raccoglie iscrizioni e sottoscrizioni. Entra nelle province con i referenti locali, capoluogo per capoluogo. E i soldi? da Italexit dicono che per il momento campano di offerte e delle quote che i senatori mettono nel mucchio come fondo cassa. Per il 2023 si punta a prendere il 2 per mille. Per i social vengono usati i collaboratori a contratto a Palazzo Madama. Per la tv c’è anche la piattaforma di  Messora, che tanta “controinformazione” ha fatto ai tempi acuti della pandemia. E tanta ne continua a produrre anche sulla guerra in Ucraina. C’è costanza e voglia di non arrendersi. 


Fiero populista, sovranista, contro Big Pharma e mainstream. Incarna le pulsioni represse di chi siede nel governo con il mal di pancia


Alle amministrative dello scorso ottobre c’è stata la prova generale, che è andata male. Italexit si è presentata in tutte le grandi città al voto. I risultati? Non proprio da brindisi. A Roma l’ex grillina e presidente di municipio Monica Lozzi si è fermata allo 0,4 per cento (e a novembre ha lasciato in polemica il partito). A Torino Ivano Francesco Verra ha toccato con due liste lo 0,8. A Bologna Stefano Sermenghi è arrivato al 2. A Milano Paragone ha corso come sindaco: 3 per cento, ma niente seggio a Palazzo Marino per un soffio. Piccola soddisfazione: aver superato la sfidante del M5s Laila Pavone (2,7).  Quello non è stato che un debutto per Italexit. Perché in vista della prossime amministrative ci sono candidati e liste ovunque. E’ il vendicatore con la barba sale e pepe. Punirà i partiti, a partire dalla Lega, che non hanno rispettato gli impegni con gli elettori. Libererà il popolo dall’oppressione dalle catene della dittatura sanitaria. Darà dignità politica ai putiniani nostrani, più o meno amanti della complessità. Musica, Povia: “Io non sono democratico / alé-oò”.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.