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I truffatori della libertà

Perché la guerra di Putin ridefinisce il perimetro di gioco per chi combatte pol. corr. e cancel culture  

Claudio Cerasa

Il conflitto in Ucraina ci ricorda tante piccole verità da custodire anche nel futuro. Il vero illiberalismo non è mai quello con cui vanno a braccetto i finti amici della libertà

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I trenta giorni di guerra in Ucraina hanno contribuito a ridisegnare il perimetro dell’occidente, hanno contribuito a smascherare la violenza del patriottismo nazionalista, hanno contribuito a svelare gli utili idioti del putinismo del presente e del passato, hanno contribuito a ricordare che i nemici del putinismo sono spesso amici della democrazia ma hanno contribuito a far emergere alla luce del sole un tema poco indagato che riguarda una grande impostura messa a nudo dalla guerra putiniana che sarà utile tenere bene a mente quando la carneficina in Ucraina sarà solo un lontano ricordo.

    

L’impostura riguarda un tema delicato legato all’utilizzo di alcune parole che in tempi di guerra suonano particolarmente stonate. Non si tratta, come si è scritto spesso nelle ultime settimane, di considerare come poco appropriato l’accostamento fatto durante la pandemia tra la nostra resistenza contro il Covid e la resistenza di un popolo che prova a salvarsi la pelle durante la guerra. Si tratta di un concetto diverso, più sottile, che ha a che fare con la disinvoltura con cui, in tempi di pace, si tende a chiudere gli occhi di fronte a chi si appropria in modo  truffaldino di alcune battaglie per la libertà, che messe nelle mani dei falsi amici della libertà diventano inesorabilmente  battaglie finalizzate a coltivare una truffa politica all’insegna di uno slogan sottinteso: l’illiberalismo, in fondo, è sempre da un’altra parte.

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Ha provato a fare così, Putin, qualche giorno fa, paragonando la presunta “cancellazione” della cultura russa da parte dell’occidente al tentativo degli hater del pensiero unico di cancellare le idee di J. K. Rowling. E in fondo, rivolgendo uno sguardo al passato e riavvolgendo il nastro, non si farà molta fatica a individuare uno schema simile anche su altri campi, che sarà bene presidiare quando il macellaio di Mosca avrà interrotto le sue azioni di guerra.

 

Pensiamo per esempio alla “dittatura del politicamente corretto”, tema a cui Federico Rampini ha scelto di dedicare il suo ultimo scomodissimo libro, e pensiamo anche alla tradizionale “tirannia della cancel culture”.

 

Due temi veri, due problemi reali, due questioni che riguardano una libertà cruciale, che è quella di espressione, ma che oggi più che mai appaiono battaglie intrinsecamente truffaldine quando utilizzate come bandierine dai ridicoli sabotatori delle democrazie liberali. Il tema in fondo è questo. C’è o no un’impostura in chi denuncia la dittatura del politicamente corretto dimenticandosi di utilizzare poi le stesse dure parole per condannare la dittatura putiniana?

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C’è o no un’impostura in chi accusa l’occidente di essere schiavo di un regime chiamato cancel culture dimenticandosi poi di utilizzare le stesse dure parole per condannare paesi come l’Ungheria che i giornali dissidenti cercando di farli chiudere? E c’è o no un’impostura in chi oggi difende l’Ucraina dimenticandosi di spiegare che la libertà dell’Ucraina è difesa da una serie di attori (per esempio l’Europa) che gli impostori della libertà da anni tentano di descrivere come se questi fossero simboli  di un nuovo illiberalismo?

     

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La guerra in Ucraina ci ricorda tante piccole verità da  custodire anche nel futuro. Ci ricorda che le battaglie per la libertà non possono mai essere combattute a metà. E ci ricorda che quello che spesso noi chiamiamo “ventre molle”, il famoso ventre molle dell’occidente, è in realtà l’unico sistema capace di emendarsi, di evolvere, di gestire il confronto tra diritti e  doveri. E dunque, sì, dopo la guerra continueremo, giustamente, a indignarci per il politicamente corretto, a combattere contro la cancel culture, a lottare contro le limitazioni alla libertà d’espressione. Ma lo faremo, forse, con uno sguardo diverso, più selettivo, meno ingenuo, più disposto a non farci imbrogliare dai finti amici della libertà che usano alcune facili bandierine per dimostrare che il vero illiberalismo non è mai quello con cui vanno a braccetto.

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