il colloquio

"Noi filo Putin? Era un altro contesto. Ora è cambiato tutto". Parla il leghista Fontana

Valerio Valentini

Il colloquio col responsabile Esteri del Carroccio, responsabile della diplomazia di Salvini. "Ho sempre creduto che ci fosse tutto l’interesse da parte degli americani ad avvicinare Washington al Cremlino, per evitare la saldatura tra Putin e la Cina. E' così va letta la nostra scommessa su Mosca. Ma ora si ritorna ai blocchi contrapposti. L'Ucraina nell'Ue? Rischierebbe di peggiorare le cose"

Più che il pentimento, la rimozione. “Dire che eravamo filo Putin è sempre stata una semplificazione giornalistica”, sorride Lorenzo Fontana. Al che bisognerebbe ricordargli, proprio nel giorno del discorso di Volodymyr Zelensky alla Camera, tutta un’antologia di slogan, iniziative, manifestazioni e piazzate varie. Un rosario ormai mandato a memoria. Che infatti il vicesegretario della Lega, da anni sherpa diplomatico di Matteo Salvini e ora responsabile Esteri, tronca subito: “La verità è che è cambiata la fase storica. E quello che era pensabile fino a qualche tempo fa, ora non lo è più”. Il contesto, dunque. “Se non guardiamo a quello, non capiamo cos’è successo”. 

Contestualizziamo, allora. “Va detto anzitutto che in politica estera le linee di indirizzo dei grandi paesi cambiano molto a fatica”, dice Fontana, mentre nel cortile di Montecitorio analizza con altri deputati della Lega l’intervento del presidente ucraino. “I governi si avvicendano, ma il perimetro delle alleanze resta”. E però, va notato, il Conte I, quello gialloverde, ci provò eccome, a cambiare la bussola strategica: anche a costo di romperla. “Per quanto riguarda la Russia, ho sempre creduto che ci fosse tutto l’interesse da parte degli americani ad avvicinare Washington al Cremlino, per evitare la saldatura tra Putin e la Cina. E questa tendenza era evidente, negli anni di Trump. Il quale, peraltro, puntava anche a una disarticolazione del blocco europeo proprio per aumentare il numero di alleati diretti degli Usa in funzione anticinese. E’ in questo quadro che va letta la nostra scommessa sulla Russia”.

Scommessa persa, però.  “Questa guerra cambia tutto, certo. Rottama l’idea di un globalismo senza confini e riporta in auge una contrapposizione tra blocchi”. Che fare, dunque, con Putin? “Anzitutto bisognerà capire se resterà al potere. Dopodiché, le relazioni diplomatiche con Mosca saranno complicatissime per anni, credo, anche se non sarà facile evitare di avere contatti con quello che resta il nostro vicino più ingombrante. Basti pensare che dall’inizio della guerra le importazioni europee di gas, stando a quanto si legge, sono addirittura aumentate”.

Servirebbe un’Europa in grado di farsi autonoma sul piano energetico, e compatta sul piano militare. “Ma allora diverrebbe una potenza geopolitica come non è mai stata. E dubito che riesca a farlo. Un po’ perché l’America non rinuncerà a esercitare la sua influenza sui paesi del vecchio continente. E un po’ perché il dato più clamoroso finora, tra le conseguenze della guerra, sta nel riarmo della Germania. Che, credo, spingerà anche i francesi sulla stessa strada, rinnovando dunque una concorrenza interna all’Ue che difficilmente consentirà una reale ulteriore integrazione”.

Intanto si potrebbe mostrare un’iniziativa politica nell’accogliere l’Ucraina nell’Unione, no? “E’ obiettivamente difficile, e non solo per le solite questioni burocratiche. Ci sono paesi che attendono da anni, come la Bosnia, e che di certo non se la sono passata meglio dell’Ucraina. Forzando i tempi, si rischierebbe anzi di esacerbare il clima già pessimo con Mosca. Ne vale la pena?”. Per Mario Draghi sì, parrebbe. “Ho ascoltato il suo intervento, certo. Ma se devo essere sincero, ciò che mi ha davvero colpito è stato il tono di Zelensky: molto più pacato rispetto alle sue precedenti uscite. Non ha chiesto la no fly zone, non ha parlato di invio di armi. Molto più accorto. Ha capito anche lui, evidentemente, che il rischio di una degenerazione del conflitto è reale. E poi forse dopo lo scivolone alla Knesset ha preferito evitare nuovi paragoni. E la telefonata avuta col Papa in mattinata, magari anche quella lo ha indotto a una maggiore cautela”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.