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La vita artificiale dell’Urss di ieri che ancora respira nei putinisti di oggi

Maurizio Crippa

La fotografia del mito anti occidentale scattata da Furet 30 anni fa e validissima anche nelle reazioni alla crisi ucraina

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"E’ il momento di una bohème intellettuale, divisa tra l’odio di sé e il culto di sé, la quale più che invocare una società modello mette la società contemporanea sotto accusa”. Basta sostituire “la società contemporanea” con “la Nato” e “società modello” con un indefinito arcobaleno ed ecco una perfetta istantanea della manifestazione pacifista di sabato scorso a Roma. Solo che l’istantanea l’aveva scattata, 27 anni fa, il grande storico François Furet in un poderoso saggio, ma scritto quasi a volo d’uccello: Il passato di un’illusione, dedicato all’“idea comunista nel XX secolo”. Arrivando all’“Epilogo”, dopo aver delineato nel capitolo “L’inizio della fine” i motivi del declino interno e internazionale del mito dell’Urss (è un saggio di storia delle idee) – che Furet fa coincidere con il disvelamento crusceviano della fallibilità del Potere, dunque la fine dell’obbedienza dogmatica – lo storico francese analizza un aspetto paradossale ma cruciale, soprattutto al di fuori dell’impero comunista: “S’inizia allora in occidente il funerale dell’idea comunista, che durerà trent’anni. Sarà seguito da un’immensa folla in lacrime. Al corteo parteciperanno persino le giovani generazioni, cercando qui e là di farlo apparire come una rinascita”.

Di “questo corteo” Furet segnala solo le tappe. E siamo all’istantanea del corteo di Roma, di quanti oggi preferiscono dire “né con Putin né con la Nato”, finendo per considerare la Russia putiniana come un proseguimento dell’Impero sovietico, un’alternativa pur sempre valida all’occidente. Le “giovani generazioni” di Furet sono quelle oggi attempate dei Landini o delle Di Cesare (che Formigli conferma in trasmissione: il bacino d’utenza quello è). Che dagli anni Sessanta provarono a rianimare la mitologia comunista variandone i paradisi artificiali. Dal quel momento “l’idea comunista sfrutta diversi campi sostitutivi”, cosicché pur perdendo efficacia storica e politica, “ha guadagnato in estensione”.

L’infatuazione per i movimenti di liberazione del Terzo mondo e la sostituzione della Russia “revisionista” con la nuova guida del Grande Timoniere. Se il maoismo “rappresenta l’utopia di un universo povero, austero e giusto”, destinato a non affascinare troppo gli edonisti sessantottini, c’è come alternativa il mito nascente di Castro “che rappresenta per gli studenti californiani il paradiso del calore comunitario”, più conforme “alla dolcevita d’occidente”. A far da collante per tutto, “l’odio degli Stati Uniti dà una forma universale all’odio del capitale”. L’Urss sopravvive così in nuove versioni dal volto più o meno umano, quelle terzomondiste o quelle più ortodosse dell’eurocomunismo (molto concentrate, ad esempio, sulla querelle missilistica). Gli stessi slogan che vanno in piazza ancora adesso, e che dopo aver concesso trent’anni di respirazione artificiale al regime sovietico ne hanno concessi altri trenta al mito comunista e anti americano. Così radicato che spinge oggi a vedere, come in un miraggio, nella Russia la resistenza di un impero che si oppone all’occidente. E dunque, in fin dei conti, se non si vuole stare con la Nato, di certo non si può essere contro Putin.

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