Dal Veneto alla Sicilia, Letta rispolvera le larghe intese per le amministrative. Con un occhio al 2023

Valerio Valentini

Il segretario del Pd guarda molto al nord, e sogna di espugnare Verona. Propone un patto a Bonaccini, "l'uomo in più" nel settentrione. Poi c'è il rebus Sicilia, dove un pezzo dei dem e i grillini vicini a Di Maio, non disdegnano un accordo per Palermo e la regione che coinvolga anche Forza Italia. Boccia: "Si parte dall'asse rossogiallo, ma si punta ad allargare il più possibile"

La verità è che non lo esclude. Certo, neppure si affanna per arrivarci. Perché la cifra di Enrico Letta, la sua forza, è attendere il maturare degli eventi, non affezionarsi mai a un’unica soluzione. “E del resto è partito dicendo forza Draghi; poi ha pensato alla Belloni temendo di dover cedere su Casini; alla fine si è arrivati su Mattarella e lui si è intestata la vittoria della partita. Chapeau”, commentava giorni fa, sorridendo, Matteo Orfini. E dunque anche in vista delle amministrative, il segretario del Pd si tiene aperte tutte le strade: compresa quella che punta allo sfondamento al centro, al campo largo che si fa larghissimo, che ammicca insomma anche a pezzi di Forza Italia. Vale al nord, dove per la prima volta dopo decenni al Nazareno si sogna di tornare a vincere in partibus infidelium; e vale anche in Sicilia, dove tutto è più complesso, e dunque bisogna maneggiare con cautela. 

Della riscossa padana, Letta ne ha fatta quasi una missione. E lo si era capito anche all’inizio dell’avventura, quando aveva costituito una segreteria di sedici persone pescandone solo due – Peppe Provenzano e Francesco Boccia – da Roma in giù. Lo sfarinamento del centrodestra,  gli hanno poi dato una mano. Ed ecco che ora Giacomo Possamai, capogruppo del Pd in Consiglio regionale e voluto da Letta in segreteria, sogna addirittura il trionfo a Verona. “E’ una città contendibile, dopo 15 anni”, ci dice. E certo, il fatto che la destra ricandidi Sboarina, dopo che la Lega ha fatto di tutto per sabotarne il bis e se l’è visto pure rubare da FdI, con FI che insieme a Italia viva valuta invece il sostegno a Tosi (al punto che è dovuto intervenire Maurizio Gasparri, sollecitato dal meloniano Adolfo Urso, per smentire le intenzioni del direttivo locale),  aiuta il Pd. “Ma ci aiuta anche la candidatura di Damiano Tommasi,  e soprattutto l’essere percepiti qui come la forza più leale nei confronti di Mario Draghi”, conclude Possamai, proprio nel giorno in cui Letta è tornato a vedersi col premier a Palazzo Chigi.
Insomma, ci si crede.

E allora ecco l’attenzione alle istanze di Cna e Confartigianato, ecco una consuetudine quasi esibita, da parte di Letta, col fin qui presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. E poi c’è l’altro legame prezioso, per il segretario. C’è quell’intesa con Stefano Bonaccini a cui l’ex premier ha intenzione di chiedere un grosso impegno, in vista della campagna del nord. E così Andrea Rossi, sentinella romana del presidente emiliano, all’ingresso di Montecitorio abbozza un sorriso: “Letta sa che Stefano può diventare l’uomo di riferimento del centrosinistra al settentrione”. Insomma, affidargli i gradi di proconsole della Gallia cisalpina, “sarebbe una mossa astuta di Letta”. Astuta anche perché, peraltro, disinnescherebbe un possibile avversario interno per la segreteria. E forse è anche per questo che a chi, come Bonaccini, potrebbe nutrire ambizioni di scalata, Letta ha lasciato intendere che la corsa agli armamenti è un gioco che non vale la candela, perché in fondo il suo obiettivo resta l’eventuale ritorno a Palazzo Chigi: ché altrimenti, se garantirsi un altro giro alla guida del Pd fosse stato il cruccio dell’ex premier, il congresso lo avrebbe indetto lui, da posizione di forza. E non è un caso che Giancarlo Giorgetti ai suoi deputati ha spiegato che “Letta sapeva bene che tutti quelli che nel 2023 sognano di fare il premier, avevano interesse a mandare Draghi al Quirinale, che non si sa mai”. 

E se davvero si punta a Palazzo Chigi, perché escludere la riproposizione di quelle “larghe intese” che già una volta aprirono a Letta la via del governo, e che ora prenderebbero la forma di una “maggioranza Ursula”? Anche di questo Letta ha parlato con Matteo Renzi, venerdì scorso: di come, cioè, utilizzare le amministrative di giugno per sperimentare la formula, laddove possibile. Ed è lo stesso discorso che Boccia, ambasciatore del Nazareno nelle città al voto, ha fatto con Alfonso Bonafede e Paola Taverna: “Che sarà pur vero che siete passati dall’avere 12 sindaci all’averne 7, ma in compenso ora governate in 40 città in coalizione”. Inutile fare gli schizzinosi. Non lo fa di certo Giovanni Currò, deputato grillino di Como, che parlando delle elezioni imminenti nella sua città rivendica come un successo “l’essere riusciti, come M5s, a stare in una coalizione larga, che va dalla sinistra ecologista fino a Iv e Calenda, e forse riuscirà ad attrarre anche qualche pezzo di FI”.

Ma se al nord tutto è più facile, “è la Sicilia a essere complicata”. Lo ammette Boccia, e lo conferma anche Letta quando spiega ai suoi che  tutti gli accordi locali andranno valutati anche nel quadro delle alleanze nazionali. “Si parte insomma anche a Palermo dall’alleanza rossogialla, e poi si punterà ad allargare”, insiste il responsabile Enti locali del Pd. Allargare, ma quanto? Per Carmelo Miceli, deputato agrigentino molto attivo nelle trattative, “quello del perimetro è un falso problema”. Nel senso che “il centrosinistra deve essere bravo a non rincorrere nessuno, ma semmai a farsi promotore di un accordo su un programma di valore e su nomi di alto profilo, e poi andare a vedere chi ci sta”. Che è, evidentemente, un modo per rilanciare sullo stesso tavolo “Ursula” su cui già molte fiches ha puntato quel Gianfranco Micciché che alla traversata di FI verso lidi lontani da quelli salviniani lavora da tempo. Vale per Palermo e varrà poi, subito dopo, per le regionali di ottobre. Ma il M5s ci starà? Se Dino Giarrusso recita, per ora,  la parte del duro e puro, Giancarlo Cancelleri, l’uomo di  Di Maio sull’isola, durante i giorni del Quirinale spiega l’assurdità della politica dell’isolamento grillino: “C’hanno detto che il nostro valore sta nell’essere diventati forza di governo, e proprio a casa nostra, in Sicilia, dovremmo tornare a porre veti?”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.