Matteo Salvini (foto LaPresse)

No, la ri-elezione di Mattarella non è il Papeete bis di Salvini

Claudio Cerasa

Il leader leghista ha gestito come peggio non poteva la partita quirinalizia, ma la scelta di dire di “sì” a Mattarella alla fine è stata coraggiosa e offre  la possibilità di non condannare la Lega  a un futuro populista. A due condizioni

A prima vista, non ci sarebbero ragioni per essere clementi con Matteo Salvini e buona parte della sua strategia politica, negli ultimi giorni, sembra essere uscita più da una puntata di “Un posto al sole” che da una sceneggiatura di “House of Cards”. Per Salvini, negli ultimi giorni, più che la visione ha contatto la tattica, ha contato la postura, ha contato, come a “Un posto al sole”, la guerra di nervi con i propri familiari e ha contato la volontà di poter raccontare, ai suoi follower, che lui ci ha provato, che lui ha fatto tutto quello che era in grado di fare per eleggere un presidente di centrodestra e che nessuno prima di lui ha provato a portare al Quirinale un capo dello stato donna. Matteo Salvini, come hanno ricordato giustamente ieri i giornali in modo spietato, è il leader uscito peggio da questa competizione quirinalizia e, come nel nostro piccolo avevamo previsto, è riuscito non solo a mettersi nella posizione di perdere con qualsiasi risultato diverso dalla candidatura di Mario Draghi, ma è riuscito anche a compiere un miracolo politico così sintetizzabile: essere il kingmaker del suicidio politico della sua coalizione.

  

 

In una sola mossa, come ha ricordato ieri Salvatore Merlo, Salvini ha indebolito la Lega, che oggi è divisa a metà, tra draghiani delusi e anti mattarelliani inferociti. Ha diviso il centrodestra, spappolando Forza Italia, mettendosi contro Fratelli d’Italia, dopo aver bruciato politicamente l’unico volto del centrodestra presente nelle istituzioni, ovvero il presidente del Senato. Ha rafforzato il Pd, che solo con un Salvini al comando della partita poteva riuscire nell’impresa di eleggere un capo dello stato della sua vecchia famiglia politica pur avendo il 12 per cento in Parlamento. Ha dato a Matteo Renzi la possibilità di poter cantare vittoria: nel 2015 l’elezione di Mattarella fu il simbolo anche di una ferita nei rapporti tra centrodestra e centrosinistra, nel 2022 la sua elezione segna la ricucitura anche di quella ferita. Ha dato persino al Movimento 5 stelle la possibilità di compattarsi attorno a quella che forse era l’unica candidatura che avrebbe potuto non spaccare il primo gruppo parlamentare di questa legislatura. Tutto questo è vero. Ma c’è anche un’altra verità controcorrente che merita di essere illuminata ed è quella che riguarda un’immagine sbagliata offerta in questi giorni da molti avversari di Salvini. Un’immagine che coincide con la rievocazione della famosa discoteca dove l’ex ministro dell’Interno diede il peggio di sé nell’estate del 2019: il Papeete. La piccola verità controcorrente che merita di essere messa in luce riguarda proprio questo punto.

  

 

Matteo Salvini – che ha accarezzato il draghicidio durante la partita del Quirinale e che ha tentato in tutti i modi di sabotare l’attuale maggioranza di governo provando a far rivivere le emozioni della stagione gialloverde – ha certamente giocato con il populismo, ha certamente assecondato gli istinti suicidi della destra più estremista e ha certamente tentato di trasformare lo show del Quirinale in una protesi della sua vita su Facebook. Il risultato finale della parabola di Salvini non ha però le sembianze di un Papeete bis. E per quanto il partito draghiano della Lega possa essere deluso (lo capiamo bene) di fronte all’incapacità di Salvini di intestarsi una partita che lo avrebbe trasformato nel vincitore di questa sfida (Salvini fa sapere che lui alla fine Draghi al Quirinale lo avrebbe voluto ma che a non volerlo al Quirinale è stato Giuseppe Conte e non lui) l’esito della corsa quirinalizia non inscrive automaticamente Salvini nella lista degli irresponsabili. Se si decide di non avere i paraocchi, il sì della Lega al bis di Sergio Mattarella è l’ennesimo faticoso passo che la Lega compie per emanciparsi dal salvinismo (“Il cattocomunista Mattarella presidente?

 

Fondatore dell’Ulivo, vice di D’Alema, ministro con De Mita. E giudice di quella Corte costituzionale che ha fregato agli italiani il referendum per cancellare la legge Fornero. Se Berlusconi e i suoi lo votano, cosa diranno ai loro elettori? Mattarella non è il mio presidente”, scrisse un tale Matteo Salvini il 29 gennaio del 2015). Ed è un passo che non può non essere messo in fila con una serie di altri passi compiuti a fatica dalla Lega nell’ultimo anno: il sì al governo Draghi (“Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro”), il sì al Recovery Plan (dopo aver votato contro in Europa), il sì al green pass (e anche al super green pass), il sì all’obbligo vaccinale (per gli over 50). Salvini, probabilmente, non è la persona migliore per superare la stagione del salvinismo, ma il sì che la Lega ha scelto di regalare a Sergio Mattarella è un sì che volontariamente o involontariamente non solo evita il draghicidio ma evita di condannare automaticamente la Lega a un futuro populista. Salvini esce indebolito, la Lega no. Il futuro del centrodestra, forse, passa anche da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.