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Il blitz sulla Belloni. L'ultima prova su Casini. La folle notte che ha portato al Mattarella bis

Il racconto ora per ora delle ultime 24 ore di trattative. La resa di Salvini che si rassegna all'unica soluzione che Giorgetti gli diceva di evitare

Valerio Valentini

Letta è stato tentato di seguire i gialloverdi sul capo del Dis. La chiamata a Grillo, che poi si infuria. L'asse tra renzi, Di Maio e Guerini. Poi il Cav. benedice Casini, in extremis. La linea tra Roma e Arcore. Il tavolo dei leader che rimette tutto in discussione. Il M5s prova con la Severino. Salvini chiede la Cartabia. "Prima che ci proponi il generale Figiuolo - gli il dice il capo di Iv - chiudiamola qui". 

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Appare in un angolo del Transatlantico poco dopo le dieci del mattino. Volto provato nascosto a metà da una mascherina, bianca stavolta e non tricolore, le spalle aggrottate, lo sguardo perso. “Mi fate prendere un caffè?”. Poi, mentre  cerca la via per la buvette, Matteo Salvini consegna la frase che segnerà la svolta come fosse un inciso in un lungo soliloquio: “Chiediamoci se non sia il caso di chiedere al presidente uscente di accettare un reincarico”.  E insomma gli accidenti hanno preso una piega talmente surreale, che alle fine Salvini s’è rassegnato a intestarsi l’unica opzione che il suo vice, Giancarlo Giorgetti, gli suggeriva di evitare: “Il Mattarella bis sarebbe per noi la soluzione peggiore”, mugugnava tre giorni fa il ministro. 

L’ha scelta, Salvini, perché non sapeva più come uscirne. L’ennesima strambata della sera di venerdì, decisa d’intesa con Giuseppe Conte, lo aveva trascinato in un vicolo cieco. “Eppure Elisabetta Belloni era nella terna di nomi che avevamo concordato col Pd”, precisa il ministro grillino Stefano Patuanelli, col tono di chi certi toni scandalizzati degli alleati dem non li comprende. Sulla terna, che oltre al nome del capo del Dis conteneva quello di Paola Severino e Pier Ferdinando Casini, in effetti Enrico Letta aveva trovato un’intesa, insieme al capo del M5s e al segretario del Carroccio. “Diamoci un paio d’ore per fare le nostre verifiche, e poi decidiamo”, s’erano detti, congedandosi a metà pomeriggio. Di lì, l’accelerata di Conte e Salvini sulla Belloni è arrivata inevitabile. Conte chiama allora Beppe Grillo,  gli assicura che l’accordo sull’ambasciatrice è fatto, gli chiede una mano a blindarlo: “Un tweet? Sarebbe perfetto”. E chi ore dopo sentirà di nuovo il comico genovese, si sentirà riferire parole non belle, per il modo in cui è stato  trascinato in questa farsa, stoppata per primo da Matteo Renzi. “Giocavano sul fatto che io non ne sapessi niente”, dirà, l’indomani, Luigi Di Maio, confrontandosi su quanto accaduto con la deputata del Pd Beatrice Lorenzin, in un corridoio al quarto piano di Montecitorio. “E invece ci siamo attivati con Guerini”. Ed eccolo, il ministro della Difesa, che poco dopo, all’uscita dell’assemblea dem, ad Andrea Marcucci dice che sì, forse su Casini un tentativo in più lo si poteva fare, “ma è  un grande risultato aver evitato d’affidare la presidenza della Repubblica a due leader in cerca d’autore”.

In effetti su Casini un’ultima prova la si è tentata. Perché dopo che Salvini sembrava essersi deciso sul bis, al tavolo dei capi di maggioranza convocato a ora di pranzo, per un attimo tutto è stato rimesso in discussione. Anzitutto da Conte: che aveva disertato, pare un contrattempo, la riunione mattutina con gli altri leader, e che poi ha rilanciato – invano – la Belloni, per poi virare su Pola Severino. “Vorrei sapere se Italia viva ha obiezioni anche su di lei”. “Mi stai interrogando, Giuseppe? Perché se vuoi ti dico come la penso”, ha ribattuto Renzi. Ed è lì che si è arrivati a Casini. A sostenerlo è stata, ufficialmente, Licia Ronzulli. D’altronde tra Roma e Arcore sono passate molte delle trattative di questi giorni. E’ con Fedele Confalonieri che i leader del Pd, sponda riformista, hanno sondato la candidatura dell’ex presidente della Camera, ottenendo mercoledì sera un iniziale via libera, prima che Salvini dicesse di no dopo aver prima detto di sì. Ed è sempre con Confalonieri che chi voleva suggerire al Cav. di benedire in extremis Mario Draghi si è rivolto. Di certo c’è che nella serata di venerdì Berlusconi s’è votato alla causa di Casini, che infatti ringrazierà poi, a cose fatte, i colleghi di Forza Italia (“Il Cav. è stato gentilissimo,  vi ringrazio tutti, ma ora che si è trovata un’intesa su Mattarella mi sento sollevato”). Insomma Ronzulli lancia Casini, lì nell’ufficio del capogruppo azzurro Paolo Barelli dove sono riuniti i leader di maggioranza, e tutti sembrano concordare. Pure Conte, pure Letta che sospira: “Eh vabbè”. Salvini invece no, non ci sta. E rilancia, all’improvviso: “Perché non Marta Cartabia, allora?”. Sguardi basiti. “Prima che candidi il generale Figliuolo – dice Renzi al leader leghista – chiudiamola qui”. Tutti concordano. E’ Mattarella bis.

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