Nelle stanze del premier

La collera di Draghi per il Quirinale. Ma il suo nome rimane ancora possibile

Carmelo Caruso

Salvini fa sapere che lo ha sentito. Giorgetti gli consiglia di attendere. I partiti temono (e desiderano) la sua ira: "Vuole solo Mattarella o Amato". E intanto lui ricorda: "Mi hanno chiamato i partiti. Ho preso un paese senza piano vaccinale, se lo ricordano?"

È il Quirinale la sua metamorfosi. E infatti Mario Draghi starebbe cambiando cellule e con le cellule l’umore che adesso dicono sia vicino alla collera perché “sono stati i partiti a chiedermi un’iniziativa politica. Non sono stato io ad avere aperto i negoziati”. Entra insomma il dèmone della rabbia come nuovo grande elettore e non solo perché, come racconta un ministro, “Draghi appartiene alla grande famiglia dei nervosi”. Matteo Salvini, che non l’ha inserito nella sua terna per il Colle, voleva che si sapesse che “anche oggi l’ho sentito”. È la conferma che il suo nome, ancora, non lo esclude.

    
Ieri, per il secondo giorno, i leader dei partiti hanno “commerciato” le telefonate con Draghi che sono un po’ come erano le pezzuole di Padre Pio:  più erano imbevute di sangue e dunque più miracolose e di conseguenza più alto il loro prezzo. In questo momento è Salvini il grande rivenditore di merce sacra. Proprio come il frate, che in malo modo scacciava gli ambulanti che barattavano le sue stimmate, perfino Draghi garantiscono abbia cacciato tutti quanti dalla sua stanza, dove adesso “non si entra perché ne uscirebbe qualsiasi indiscrezione”. Giuseppe Conte, un altro che ha bisogno di esibire una piccola reliquia di Draghi, lasciava intendere ai suoi parlamentari che (forse) era stato ascoltato da Draghi malgrado non potesse confermare la telefonata con Draghi “perché capite…”. Matteo Renzi, in Transatlantico, prima di votare, “e ve lo dico io che ho una discreta esperienza”, spiegava che “non si era mai vista tanta superficialità da parte dei leader. Pure io incontro e telefono a tanti ma non lo dico a nessuno. Tantomeno se incontro il premier”.

 

È dunque probabile che sia stato contattato pure lui. Silvio Berlusconi, che come si sa, si è paragonato a Cristo, e di diritto sopra i santi, dicono invece che chiamato da Draghi non gli abbia risposto. Tié. Renato Schifani, che è stato presidente del Senato, dichiarava infatti che il passaggio “da Palazzo Chigi al Quirinale non è cartesiano. Pure Draghi lo deve comprendere”. A Palazzo Chigi, dove tutto lo staff ripeteva che “il presidente è qui che lavora come sempre, anzi, as usual, perché rimane da portare avanti un’attività di governo”, l’aria la descrivevano come rarefatta ma non “malinconica” perché “la malinconia non appartiene a Draghi”. In un anno di governo quasi nessuno ne ha mai parlato, ma c’è un lato del suo carattere che non è mai stato sviscerato. Chi lo conosce testimonia che è ironico. Ed è vero.

  

Anche i giornalisti lo hanno visto sorridere, scherzare. Pure Gadda, Swift, Kraus erano scrittori ironici ma in loro la satira era solo uno strumento di vendetta. Ieri, a Montecitorio, i parlamentari non solo la temevano ma la raccontavano. Sono tutti a conoscenza di quella che dicono sia la condizione di Draghi: “Se non sarà lui il presidente della Repubblica, resta premier solo se sarà riconfermato Sergio Mattarella o il suo amico Giuliano Amato. Altrimenti renderà la vita impossibile”.

      

Ed è curioso ma è stato proprio Amato a raccontare “l’altro Draghi”. A Marco Cecchini nel suo “Un anno da Draghi” (Fazi) ricordava che negli anni da direttore generale del Tesoro “aveva il dono di affrontare le cose serie in maniera apparentemente semiseria il che conferiva al suo modo di essere e lavorare un che di leggero”. E sottolineava però: apparentemente. Quando Draghi, ieri, ha letto i giornali, e letto dell’ostilità della politica e della sua presunta antipatia, gli avrebbero sentito dire: “Ho preso il paese senza un piano vaccinale, in piena emergenza economica. La memoria andrebbe allenata”.

 

Giancarlo Giorgetti gli ha consigliato di non fare più nulla e gli voleva forse dire che tanti continuano a lavorare per lui. Non è finita. Tutt’altro. Solo così Draghi riusciva a trattenere la “rabbia” che è il sentimento degli offesi ingiustamente, il pericolosissimo veleno che Pierpaolo Pasolini scriveva: “Mi intossica/ si stacca da me/ vortica per conto suo/ non sono più padrone del mio tempo”. Rimane ancora un giorno prima del suo dies irae.

 

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio