ANSA/RICCARDO ANTIMIANI 

il bluff

Conte chiede il 2 per mille, ma nasconde il “partito”

Luciano Capone

La decisione del capo politico di attrezzarsi per ottenere il finanziamento pubblico rivela tutta la natura orwelliana del M5s

Giuseppe Conte ha indetto una votazione tra gli iscritti del M5s, partita ieri e che si concluderà oggi, per chiedere l’approvazione della sua proposta di “accesso al 2 per mille”, ovvero al finanziamento pubblico. Si tratta, insomma, di infrangere uno dei tabù fondativi e distintivi del “movimento”, ma non c’è da attendersi alcuna sorpresa sul risultato. Come per ogni consultazione nella cosiddetta “democrazia diretta”, i militanti vengono convocati per ratificare una decisione già presa altrove dal vertice e sottoposta in tempi stretti alla base, senza alcun dibattito o approfondimento. L’esito non è in discussione. Ciò che è più interessante e rivelatore, come nelle altre votazioni grilline, è la formulazione del quesito.

Così Conte chiede soldi ma nasconde "il partito"

“Il presidente – c’è scritto – intende sottoporre all’assemblea la proposta di iscrizione al registro nazionale d.l. 149/2013, ai fini dell’accesso al finanziamento del 2×1000”. La parola più importante è quella che non c’è. Conte, o chi per lui ha formulato il quesito, ha infatti accuratamente evitato di scrivere, non si capisce bene se per ipocrisia o per vergogna, la parola parola proibita: partito. Il decreto legge 149/2013, infatti, riguarda le “disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore”. La parola ricorre praticamente in tutti gli articoli della legge: “I partiti politici che intendono avvalersi dei benefici previsti dal presente decreto…”. E il “registro nazionale”, citato da Conte, non è un registro generico, ma ha un nome più specifico: “Registro dei partiti politici”. Proprio perché, per accedere al 2 per mille, l’associazione richiedente deve essere un partito politico, ovvero deve dimostrare di essere un partito politico altrimenti niente 2 per mille. È quindi il M5s che chiede di essere riconosciuto come “partito politico”, esattamente come tutti gli altri.

Perché il M5s è sempre stato un partito

Ovviamente il M5s è sempre stato un partito, sia ai sensi della legge, ma anche secondo le più comuni definizioni politologiche: è un gruppo politico, identificato da un simbolo, che partecipa alle elezioni per occupare cariche pubbliche. Ma l’identità costitutiva del “MoVimento” è stata proprio la contrapposizione ai partiti, non semplicemente in quanto “diverso” ma in quanto “non”. “Non siamo un partito, non siamo una casta, siamo cittadini punto è basta” cantava l’inno. “Il MoVimento 5 Stelle non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro” recita il “Non Statuto”, l’atto fondativo scritto da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, che indicava un modello diverso di decisione (“democrazia diretta”) e organizzazione politica (“uno vale uno”), senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi. Ebbene questa cosa, se mai è esistita almeno nelle intenzioni dei fondatori, ora non esiste più. Basta guardare al nuovo statuto, approvato dopo le estenuanti trattative tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo, che è proprio quello di un partito novecentesco: un presidente, cinque vicepresidenti, il garante, il comitato di garanzia, e poi l’assemblea, il consiglio nazionale, il collegio dei probiviri, i comitati, i gruppi territoriali e addirittura la scuola di formazione.

 

È l’evoluzione, per certi versi inevitabile, di un movimento politico che si struttura e si organizza. Ma nel caso del M5s non si tratta, semplicemente, della “ferrea legge dell’oligarchia” descritta perfettamente all’inizio del secolo scorso da Robert Michels. L’annuncio dell’avvento di una nuova democrazia e della tabula rasa del vecchio regime, i principi inderogabili continuamente derogati e aggiornati, gli epurati, la neolingua e l’ossessione per le parole, ricordano di più la Fattoria degli animali. C’è qualcosa di più orwelliano del “mandato zero”? O del tentativo goffo di evitare l’uso della parola “partito” quando si chiede di iscriversi al registro nazionale dei partiti per accedere al finanziamento pubblico ai partiti?

 

Nel romanzo di Orwell, alla fine, quando l’imborghesita avanguardia rivoluzionaria dei maiali – absit iniuria verbis – diventa completamente indistinguibile dagli uomini (i padroni del vecchio regime), cade ogni ipocrisia: Napoleone, il capo politico si potrebbe dire, annuncia che la “Fattoria degli animali” cambia nome in “Fattoria padronale”. Anche Giuseppe Conte, dopo l’ennesimo referendum, l’iscrizione al registro dei partiti e l’incasso del finanziamento pubblico, potrebbe fare qualcosa di analogo annunciando la nascita del Partito 5 Stelle.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali