il retroscena

Così si muove il partito di chi non vuole Draghi al Quirinale

Valerio Valentini

Renzi paventa il Cav.: "Occhio, che Berlusconi rischia di essere l'unica opzione che stabilizza". Orfini candida Mattarella: "Non dobbiamo aspettare che scelga lui". Giorgetti mette tutti in guardia ("Guardate che il premier si è stufato"), ma dissemina trappole. Ecco le trame di chi cerca di evitare l'apoteosi di Super Mario, con lo spauracchio del voto anticipato

L’immagine della processione dei vattienti, la riproposizione dell’ingloriosa salita al Colle dei leader in penitenza, è stato Matteo Orfini, due giorni fa, ad allontanarla. “Ma chi l’ha detto che dobbiamo attendere che tutto s’incarti, come fu con Napolitano, per chiedere a Mattarella di restare? Noi iniziamo piuttosto a votarlo fin dal primo scrutinio, e così si produrrà un fatto politico”. Lo diceva, l’ex presidente del Pd, davanti a un manipolo di suoi colleghi che ascoltavano le sue parole come la possibile risoluzione di un rebus: “Non dobbiamo aspettare che si candidi, lo candidiamo noi”.

Il che dà il senso, però, dell’urgenza che i parlamentari avvertono di trovare subito un’alternativa chiara a quel Mario Draghi che, per autorevolezza e forza, s’imporrebbe sul delirio generale. Per questo Giancarlo Giorgetti continua a riproporre ai suoi interlocutori la stessa riflessione da tempo: “Draghi non ne può più di questo caos continuo. Ha 74 anni, ha un curriculum che parla da solo, e giustamente ritiene che il Quirinale sia la degna conclusione della sua carriera”. E insomma chi potrebbe davvero dirgli di no, posto che “o va al Colle oppure rischiamo che ci molla tutti e se ne torna a casa”. Che poi la trovata sul “semipresidenzialismo di fatto” sia stata un’imprudenza, o un raffinato modo di complicare l’ascesa al Colle del premier, resta ancora da capirlo. 

Quel che è certo è che l’ansia di trovare alternative alla “mozione Draghi”,  che per molti renderebbe troppo concreta l’ipotesi di un ritorno  alle urne, è così frenetica che produce perfino dei cortocircuiti. E infatti mercoledì scorso, ai suoi senatori convocati a cena, Matteo Renzi ha spiegato che “la situazione può davvero  sfuggire di mano”, al punto che “l’ipotesi di Berlusconi al Colle rischia di apparire come la sola che garantisce stabilità, visto che chi candida Draghi lo fa con l’obiettivo neppure tanto celato di andare a votare”. 

Uno spartito simile a quello suonato da Pier Ferdinando Casini, che ormai abitualmente prende i senatori suoi colleghi a uno a uno e a ciascuno dispensa lo stesso catechismo: “Draghi ha la forza per fare quel che vuole, tranne che imporci un suo ministro come premier e fare un nuovo governo come se niente fosse mentre lui va al Colle”. E pure questo, evidentemente, è un modo per scoraggiare i timorosi d’animo. Tanto più che al  gioco del voto anticipato sembra voler giocare anche un Giuseppe Conte sempre più in modalità da combattimento. Sennò perché giovedì, mentre al Senato scoppiava il rodeo sul dl Riaperture, il M5s sembrava voler esasperare un caos che invece andava ridimensionato, intestardendosi ad aprire un altro fronte di guerriglia rivendicando, senza averne diritto, un proprio relatore alla legge di Bilancio? Sennò perché Luigi Di Maio, sempre pronto a scombinare i piani del presidente del M5s, sente il bisogno di ribadire che “se andiamo a votare a marzo metteremmo a rischio l’erogazione della terza dose per contrastare un altro aumento di contagi”?  

Il tutto con Enrico Letta che trattiene a stento la voglia di far notare che lui l’aveva detto. Che quel tavolo di confronto che Palazzo Chigi ha rifiutato con  sdegno, proprio a questo serviva: “A evitare che le tensioni sul Colle blocchino tutta  l’azione di governo”. Un’azione che, secondo Letta, “deve proseguire fino al 2023 con la massima continuità, perché la sfida del Pnrr è ben lungi dall’essere vinta, e Draghi è una risorsa così preziosa che va tutelata da ogni possibile incidente”. Insomma, va tenuto a Palazzo Chigi. Il che spiega perché il premier l’abbia aborrita subito, quell’idea. E perché di conseguenza tutti si sono mobilitati in Transatlantico. L’alternativa se c’è va trovata subito. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.