l'intervista

"Vi spiego il senso del possibile ingresso del M5s tra i socialisti europei". Parla Benifei

L'addio di Calenda? "Credo stesse aspettando da tempo un'occasione per andare in Renew". La svolta a destra dei centristi? "Non credo. I macroniani saranno chiamati a schierarsi chiaramente sulla maggiore integrazione europea, che sarà sempre più un fondamento del progressismo"

Valerio Valentini

Il capo delegazione del Pd a Bruxelles, l'uomo che conduce le trattative coi grillini, dice che "sul rapporto con Casaleggio e sullo stato di diritto il M5s è oggettivamente maturato. Ora però serve che rifiuti la cultura del giustizialismo". Per ora l'intesa sarebbe solo tattica, al Parlamento europeo. "Ma può essere l'inizio di una svolta politica anche a Roma"

Tutto sta, dunque, “a invertire il rapporto di causa ed effetto”. Uno si aspetterebbe insomma che l’ingresso in una famiglia europea arrivi a segnare l’approdo finale di un grande cambiamento politico, dibattiti e convegni e mozioni, e invece tocca un po’ ribaltare la prospettiva. “Perché l’adesione del M5s al gruppo dei socialisti di S&D al Parlamento europeo avrebbe anzitutto, qualora il negoziato in corso andasse davvero a buon fine, una spiegazione pragmatica, direi anche tattica e non solo inevitabilmente politica”, dice Brando Benifei, capo delegazione del Pd a Bruxelles.Da ormai oltre un anno votano come noi su qualsiasi materia, e allargare la componente italiana, che a quel punto diventerebbe la più numerosa all’interno del gruppo, sarebbe indubbiamente un vantaggio. D’altro canto, in S&D convivono attualmente i socialdemocratici danesi che chiedono di finanziare i muri sui confini e noi del Pd che con gli spagnoli siamo i più contrari a questa ipotesi. Convive l’Spd tedesca, favorevole a un approccio dialogante con Pechino, e un anticinese convinto come Raphaël Glucksmann. Per non dire poi che anche nel Ppe la Cdu ha tenuto Orban con sé, fino all’altroieri”. Ma una valore politico pure ce l’avrà, una simile scelta. “Se ce l’avrà, dipenderà in misura significativa da quello che succede in Italia. E io mi auguro che così sia, perché ciò varrebbe a smentire una certa lettura che dell’intesa tra Pd e M5s è stata offerta, nel recente passato”.

E allora Brando Benifei propone una ricostruzione parallela, dell’evoluzione dei rapporti tra dem e grillismo. “Si è parlato molto di subalternità del Pd nei confronti del M5s”. Ma non fu il segretario del Pd, in verità, a riconoscere in Giuseppe Conte il “punto fortissimo di riferimento dei progressisti”?. “Una definizione infelice, non c’è dubbio, su cui lo stesso Nicola Zingaretti ha avuto però modo di chiarire e su cui troppi commentatori si sono fissati. Ma non mi sottraggo alla critica, anche perché lo dissi esplicitamente in una nostra riunione di direzione di partito: pur riconoscendo il valore di ciò che è stato realizzato dal Conte II, credo che l’aver proseguito fino all’ultimo minuto la caccia ai responsabili sia stato un errore, per salvare quella maggioranza dovevamo esplorare anche altre soluzioni. Qui a Bruxelles, però, il processo è stato inverso. E la richiesta del M5s di entrare nel nostro gruppo dimostra come in realtà siano stati loro ad avvicinarsi sempre più ai nostri valori”.

In effetti si sono avvicinati ai valori di tanti. Hanno chiesto asilo ai sovranisti di Farage, poi ai liberali dell’Alde e quindi a Renew, infine ai Verdi. Nel frattempo facevano manifestazioni insieme ai Gilet Gialli. Sicuri che ora si tratti di una evoluzione reale? “Sto ai fatti. Gli esponenti antieuro del M5s sono già usciti dal gruppo grillino. Dopo la scissione che ha portato alcuni di loro nei Verdi, gli otto rimasti dimostrano una oggettiva convergenza, stando ai voti espressi in Aula e nelle commissioni, con noi socialisti. E del resto, quando il dialogo col M5s iniziò, oltre un anno fa, noi ponemmo due questioni: la recisione di ogni legame con la Casaleggio, e una scelta di campo sullo stato di diritto, sposando l’atlantismo e ripudiando simpatie filorusse e filocinesi. Saremmo ipocriti a non riconoscere una reale maturazione, in questi campi. Aggiungo ora un altro punto, per tanti di noi indispensabile: un affrancamento dalla cultura del giustizialismo, e il riconoscimento del valore dei partiti e delle istituzioni come perno della vita democratica. Ecco,  se anche qui ci sarà un’evoluzione, allora l’ingresso del M5s nel gruppo di S&D – e non, si badi bene, nel Partito socialista europeo – potrebbe essere il preludio a una svolta politica anche a Roma. Tutta da verificare, ripeto. Ma auspicabile, credo, nell’ottica dell’allargamento del campo progressista”.

A proposito, in quest’ansia di allargare, vi siete persi Calenda. “Stimo Carlo e rispetto la sua scelta. Ma credo che dietro certe esibite rigidezze morali si nascondano sempre, in politica, delle astuzie. Credo che lui stesse semplicemente cercando la giusta scusa per entrare nei liberali di Renew: un ricollocamento funzionale alla sua strategia politica in Italia”. 
Rischio di un’emorragia al centro? Rischio che il centro vada verso destra? “Non credo. La componente macroniana di Renew, sulle partite importanti, si è sempre schierata nel campo dei progressisti. Ma del resto credo che sempre più, nei prossimi mesi, proprio i centristi, e con loro anche alcune componenti più moderate del Ppe, saranno chiamate a una presa di posizione netta. C’è chi, come Matteo Salvini e Giorgia Meloni, vagheggia un rinnovato inasprimento tra socialisti e popolari, tra destra e sinistra. Io credo che la pandemia, e le prime scelte sul Recovery, abbiano fatto emergere in modo evidente che oltre alla polarizzazione tra progressisti e conservatori ce ne sarà un’altra legata alla sfida su una maggiore integrazione europea: una contrapposizione tra euroriformisti e mantenitori dello status quo, tra chi chiede maggiore condivisione di sovranità, come anche Mario Draghi ha auspicato, e chi si rinserra nell’illusione degli stati nazionali. L’integrazione europea sarà sempre più un valore non solo di noi socialisti, ma di tutto il fronte dei progressisti. E io credo che i centristi macroniani, e con loro Renzi e Calenda, sapranno scegliere da che parte stare”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.