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Il premier e il caso Lega

Draghi alle prese con il tarantolato Salvini. Estensione green pass per i dipendenti scolastici

La battaglia minoritaria del "capo" Salvini

Carmelo Caruso

Le piroette di Salvini sul green pass mettono in difficoltà il suo partito più che Draghi. Descritto dai suoi uomini come "fuori fase", "un leader che gioca" e ministri stupiti. Il governo va avanti su scuola e politica estera

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Ha sbagliato Enrico Letta. La Lega non è un partito “inaffidabile” come ha detto. Lo è il suo capo. Viene definito “fuori fase” da molti dei suoi migliori uomini. Rivelano: “E’ un leader che gioca”. Il governo non è in pericolo. E’ in pericolo tutto un partito che per colpa di Matteo Salvini ha ingaggiato una battaglia contro il green pass che i suoi stessi ministri, ritengono “inutile, minoritaria e che finisce per metterci all’angolo”. Salvini non è un problema del premier. È un problema per loro. La sceneggiata in Parlamento, il voto contro la certificazione verde, con la Lega complice di FdI, viene vissuta da Palazzo Chigi come bisogni e spasmi elettorali. Il governo procederà in ogni caso con l’estensione del green pass per tutti i dipendenti scolastici e delle rsa. L’urgenza è questa.

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Ha sbagliato Enrico Letta. La Lega non è un partito “inaffidabile” come ha detto. Lo è il suo capo. Viene definito “fuori fase” da molti dei suoi migliori uomini. Rivelano: “E’ un leader che gioca”. Il governo non è in pericolo. E’ in pericolo tutto un partito che per colpa di Matteo Salvini ha ingaggiato una battaglia contro il green pass che i suoi stessi ministri, ritengono “inutile, minoritaria e che finisce per metterci all’angolo”. Salvini non è un problema del premier. È un problema per loro. La sceneggiata in Parlamento, il voto contro la certificazione verde, con la Lega complice di FdI, viene vissuta da Palazzo Chigi come bisogni e spasmi elettorali. Il governo procederà in ogni caso con l’estensione del green pass per tutti i dipendenti scolastici e delle rsa. L’urgenza è questa.

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Mercoledì, la convocazione della cabina di regia, che veniva data per quasi certa, nel pomeriggio non era così certa. Non ci sarà. Ci sarà giovedì un Cdm ma sarà un Cdm diverso. Agire per gradi non è mai segno di debolezza, ma è un controveleno, un filtro. Il proposito di Draghi rimane sempre il medesimo. Estendere il green pass in tutte quelle aree dove c’è già l’obbligo di esibirlo. Camerieri, personale impegnato nella Pa, ausiliari. Non “è il big green pass” che è un inutile anglismo. Meglio immaginarlo come un green pass di categoria e arrivarci attraverso un percorso elastico. Serve ad avvicinarsi lentamente verso l’obiettivo: avere provvedimenti simili sia per il settore pubblico sia per quello privato. Giovedì dunque la prima decretazione su qualcosa di condiviso. Iniziare con il personale scolastico non è solo un ottimo deterrente a tutte le polemiche squinternate, quelle che hanno coinvolto perfino i docenti universitari. E’ un cordone che serve al ministro, Patrizio Bianchi, ministro che nei prossimi giorni interverrà nel dibattito pubblico, e che non può commettere errori. E’ un ministro che potrebbe ricevere le insolenze di Salvini. Periodicamente le sposta su uno dei tanti componenti di governo. Solo per dire, ieri, è tornato sul ministro della Sanità, Roberto Speranza.

 

Con tutte le sfide che il governo e Draghi hanno di fronte si è costretti ad aggiungere anche questo: gestire Salvini, che significa gestire un ragazzotto, imbrigliarlo nella fase tarantolata. Le settimane elettorali, e se ne è accorto pure il governo, sono la sua luna piena. Le sue azioni accendono i leader degli altri partiti. Producono schermaglie di bassa politica. Ai giornalisti, al Corriere della Sera, Salvini ha raccontato che la sua mossa, non far votare ai suoi parlamentari in Aula alcuni emendamenti sul green pass, è stata fatta informando Draghi. Deve avere un’accezione tutta sua del verbo informare. I suoi tempi, anche telefonici, non coincidono con quelli del premier. E’ andata in modo diverso. Aveva ricevuto un grande segnale. Il governo, attraverso il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, aveva stabilito che sul green pass non servisse porre la questione di fiducia. Salvini avrebbe ritirato i suoi emendamenti. E di ritirare li ha ritirati. Ha però votato con Fdi e si è giustificato come un ladro di merendine: “Non avevo certo detto che non avrei votato altre proposte. Ho solo detto che avrei ritirato gli emendamenti”. Usa il metodo dell’ambiguità perfino con il premier. Uno come Draghi cosa può pensare di un capo che scherza con i concetti, con le frasi? Il capo della Lega deve dimostrare di saper stare composto. Chi gli vuole davvero bene neppure capisce questa battaglia fatta per “uno scarso quindici per cento di non vaccinati”.

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In un sondaggio di Swg, come riportato dal Foglio.it, ben il 70 per cento degli elettori della Lega è addirittura a favore dell’obbligo vaccinale. Il 73 per cento vuole il green pass. La ministra Erika Stefani viene segnalata come una delle ministre leghiste più sofferenti. E’ veneta, ed è molto legata a Luca Zaia, il presidente del Veneto da cui Salvini dovrebbe prendere ripetizioni. Nel suo consueto appuntamento quotidiano non ha solo annunciato l’inizio della somministrazione della terza dose di vaccino. Ha spiegato che chi finora non ha scelto, chi non si è vaccinato, finirà in coda. Il Veneto ha già il 62 per cento di ragazzi vaccinati. Questi sono successi. Il governo non asseconderà Salvini nelle sue scorrerie. Per tenerlo dentro i margini non ci sono schemi di nessun altro tipo.

 

C’è un governo che viene definito un “governo di garanzia” e deve essere Salvini a decidere se ne vuole fare parte. Un importante esponente di governo, un politico, e non occorre fare il suo nome, fa notare che “la pena della Lega è rimanere al governo. La Lega fuori dal governo perderebbe pezzi di elettorato, definita dai suoi elettori come scriteriata. L’Italia, e anche la Lega, possono fare a meno di Salvini. La domanda è se l’Italia possa fare a meno di Draghi”. Un episodio. Ieri, mentre il capo della Lega faceva fare quello che sapeva fare, campagna elettorale a Catanzaro, Draghi telefonava al premier turco Erdogan per parlare ancora di Afghanistan, G20, della situazione libica. Giovedì, a Palazzo Chigi, attende il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Non sarà Draghi a dover scegliere ma la Lega: governare o giocare?

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