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il caos afghano

"Accoglienza sì, ma no alle reazioni emotive". Parlano i sindaci di Trieste e Gorizia

Luca Roberto

Dopo la presa di Kabul da parte dei talebani si temono flussi migratori imponenti dall'Afghanistan. "La rotta balcanica sarà sempre più battuta. Sarà dura, dobbiamo prepararci", ci dicono Dipiazza e Ziberna

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Il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza guarda alle immagini di queste ore da Kabul e lo confessa nelle prime battute di questo colloquio con il Foglio. "Non è una questione di se, ma di quando. E' certo che i profughi afghani cercheranno di raggiungere l'Europa, principalmente attraverso la rotta balcanica, che ci riguarda molto da vicino. E allora noi cosa facciamo, scegliamo anche questa volta di non decidere e lasciamo tutto al caso?". L'Unhcr ha stimato in mezzo milione il numero di cittadini afghani che potrebbero tentare di lasciare il paese da qui alla fine dell'anno. Lo stesso ministro dell'Interno Luciana Lamorgese al Comitato ordine e sicurezza riunito nel fine settimana a Palermo ha detto che la presa di Kabul da parte dei talebani "accelera il processo di accoglienza degli afghani". Fa bene allora chi, come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, ha già detto di essere disposto ad accogliere i rifugiati per operare una sorta di "riscatto dell'Occidente"? "Noi sindaci siamo in prima linea, ed è chiaro che non ci tiriamo indietro, soprattutto in un territorio come il nostro, caratterizzato da sempre dalle migrazioni", dice Dipiazza, che di Trieste è sindaco da quindici anni, in quota Forza Italia. "Una cosa però è organizzarsi già da adesso con una tabella di marcia precisa su quante persone potranno essere accolte. Altra è inseguire il modello dell'accoglienza diffusa propagandato a sinistra. E che però ha sempre fallito. E una vergogna non essere in grado di offrire un'accoglienza degna di questo nome". 

 

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Nel corso degli ultimi trent'anni Trieste ha dovuto affrontare diverse crisi migratorie. "Prima ci sono stati i romeni, poi i kosovari. Vent'anni fa sul Carso triestino ne morirono in tredici col freddo e la Bora. Mentre solo cinque anni fa abbiamo dovuto affrontare un pieno di pakistani e siriani che è andato scemando, ma in ogni caso ancora oggi abbiamo più di 500 minori non accompagnati in carico dallo stato sparsi per le strutture di tutta la città e gestiamo dai 50 agli 80 nuovi arrivi al giorno", dice ancora Dipiazza. Temete di essere lasciati soli ad affrontare un'emergenza che non è solo nazionale ma anche europea? "Il problema è che da Roma si fa fatica a capire quali siano le esigenze dei territori. Basterebbe lasciar fare chi sa. Una possibile soluzione? Io da imprenditore ho uno spirito pragmatico. Tre quarti delle caserme sono al confine orientale italiano: perché non le riconvertiamo e le trasformiamo in grandi centri di raccolta per rifugiati? Ovviamente prevedendo dei veri percorsi di inserimento". 

 

Roberto Ziberna, sindaco di Gorizia, la richiesta di destinare le caserme del nord-est all'accoglienza l'aveva già avanzata insieme ad altri sindaci del Friuli: destinatario il presidente Massimiliano Fedriga. "Anche se ci vorrebbero anni per completare i lavori e, nel frattempo, bisognerebbe trovare delle soluzioni intermedie", riflette in una conversazione telefonica col Foglio. "Visto che abbiamo contribuito a creare questo problema, dobbiamo cercare di risolverlo, ma è ovvio che sono preoccupato dal fatto che la crescita dei flussi non sarà progressiva, bensì immediata. L'unico modo per evitare tragedie attraverso la rotta balcanica è affrontare la sfida a livello comunitario, facendo ad esempio un ponte aereo con l'Afghanistan e stabilendo già da ora in quali paesi avverrà la redistribuzione ". In caso contrario, i sindaci delle zone di frontiera rischierebbero di rimanere con il cerino in mano, "e non ce lo possiamo permettere, perché non abbiamo abbastanza strutture: già oggi tra minori e non facciamo molta fatica ad accogliere alcune centinaia di persone. Ci vuole poco perché i cittadini percepiscano insicurezza", aggiunge Ziberna. "In caso di una tragedia improvvisa, come un terremoto, il sindaco è obbligato a mettere una pezza. Ma nel caso delle migrazioni il fenomeno è atteso, prevedibile. Non ci possiamo permettere di non dare risposte adeguate". Ha condiviso l'appello all'accoglienza degli afghani in fuga lanciato da Gori? "Cosa cambierebbe se i profughi da accogliere fossero di un'altra nazionalità? Capisco l'emozione generata da quelle immagini forti, che ci colpiscono tutti. Ma il criterio per intervenire non deve essere il senso di colpa". 

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