Enzo Staiola e Lamberto Maggiorani in "Ladri di biciclette, regia di Vittorio De Sica (1948)

Editoriali

Nuovo cinema Italia

Redazione

Draghi, Ursula, Cinecittà. Il cinema è un test per la generazione Recovery

Ricevendo a Cinecittà da Ursula von der Leyen la lettera di approvazione al Piano nazionale di riforme e resilienza (Pnrr), anticipata lunedì da Bruxelles con 10 A e una B (alla voce costi), Mario Draghi ha parlato di “alba di una nuova ripresa” e definito il luogo della cerimonia “molto simbolico: qui negli anni del Dopoguerra il nostro cinema raccontava la vita delle famiglie italiane, prima gli stenti, poi il lavoro e infine l’entusiasmo”.

 

Non è certo il caso di sottilizzare sull’ottimo lavoro e sulla reputazione del premier – decisivi per ottenere i miliardi europei, per quanto ne dicano i nostalgici del contismo –, ma Draghi non ignora che dopo il boom il nostro cinema raccontò il declino economico (la “congiuntura”), le furbizie, il terrorismo, lo scontro sociale, cioè la fine del miracolo italiano, l’ipertrofia burocratica e sindacale, il declino. Oggi ci accontenteremmo, Draghi per primo, di ripetere lo strepitoso decennio tra i 50 e i 60 che trasformò l’Italia da paese sconfitto in potenza industriale e in una società moderna.

 

Per raggiungere l’obiettivo Draghi ha inserito nelle vecchie carte dell’esecutivo rossogiallo un programma di riforme cadenzate per mesi. E cioè: entro maggio campagna vaccinale e governance accentrata a Palazzo Chigi per gestire i fondi (fatto), entro giugno semplificazioni amministrative e legge sulla concorrenza (avviate), entro luglio delega per la riforma fiscale, entro autunno le mastodontiche riforme della giustizia civile, amministrativa e penale.

 

Questo – prima che i pur indispensabili cantieri da sbloccare, ferrovie da completare, transizione ecologica da attuare – ha convinto l’Europa a dare all’Italia sussidi e prestiti superiori, attualizzati, al piano Marshall di quel periodo felice del cinema italiano. Il paradosso è che tutto ciò è in mano a un premier 73enne con leader di partiti cinquantenni che divagano e tirano verso il passato. In mezzo, per fortuna, c’è una società che si è svegliata dalla pandemia con la mente più fresca. Chissà se il cinema del futuro, magari attraverso Cinecittà, riuscirà a dare voce a una nuova Italia.

 

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