Riforme e authority

Così l'ostruzionismo del Garante per la privacy preoccupa il governo sul Recovery

Valerio Valentini

Una guerriglia a bassa intensità che va avanti da mesi. Lo scontro sul "green pass" e la richiesta di maggiori risorse. Ora i ritardi dell'Authority rischiano di rallentare le riforme previste dal Pnrr. A rischio il maxi database di Colao, che sbuffa

Che la collaborazione sarebbe stata complicata, Vittorio Colao lo ha capito subito dopo il suo insediamento. Quando, in una delle riunioni preliminari coi vertici del Garante per la privacy, si sentì dire una cosa del tipo: “Noi puntiamo a diventare l’ente certificatore di tutti gli algoritmi digitali”. E fosse stato solo per la pretenziosità della frase, il ministro e i suoi collaboratori l’avrebbero lasciata cadere là. Se non fosse che invece, negli scambi di pareri e di valutazioni che accompagnano i lavori preliminari sul Pnrr del dipartimento della Transizione digitale, il Garante sta mostrando una bellicosità e un’ostilità tali, rispetto alle proposte che arrivano dal governo, che quella frase ora nelle orecchie del ministro risuona con un’eco più sinistra, che sa quasi di minaccia.

 

D’altronde, a Palazzo Chigi se n’erano già accorti un anno fa che l’insediamento del nuovo comitato - arrivato a seguito di un lungo stallo che aveva alla fine visto i partiti convergere sul professore campano Pasquale Stanzione, classe ’45, anche per scongiurare l’elezione a presidente del meloniano Ignazio La Russa - non avrebbe affatto segnato una distensione dei rapporti. Anzi, anche nel dicembre del 2020, puntuale era arrivata dai nuovi insediati la richiesta che quasi sempre dal Garante arriva in occasione della legge di Bilancio: e cioè l’equiparazione del trattamento economico dei quattro componenti del collegio a quello dei dirigenti della Pubblica amministrazione, e cioè i 240 mila euro annui. Richiesta negata dal BisConte, va detto. Ma non per questo il cambio di governo ha aiutato a migliorare il clima. Anzi, quando gli uffici di Palazzo Chigi hanno iniziato a lavorare al decreto sul “green pass”, si è arrivati alla più grave delle baruffe. Perché alla mail inviata dal Dipartimento degli affari giuridici (Dagl) con le bozze del provvedimento e l’invito a suggerire delle modifiche, il segretario generale del Garante ha risposto con una lunga serie di obiezioni. E siccome non tutte sono state accolte da Mario Draghi, ecco che è partita la rappresaglia, con tanto di (inusuali) ammonimenti preventivi al governo, che peraltro seguiva la strada battuta anche dalla Commissione europea. La più caparbia, in questa crociata, è stata la vicepresidente Ginevra Cerrina Feroni, costituzionalista toscana eletta in quota Lega e da tempo in sintonia con Matteo Salvini, che in passato pensò a lei anche come candidata sindaca a Firenze.

 

Dalla decisione di Draghi di non recedere, è seguito poi un inasprimento dei rapporti istituzionali tra l’authority e l’esecutivo, che sta portando a una serie di puntigliose contestazioni di merito su parecchi dei provvedimenti in gestazione nei vari ministeri, dallo Sport alle Politiche giovanili, passando per la Pa e il Mef, fino ad arrivare al Lavoro, dove ieri qualcuno ha sobbalzato a leggere la contrarietà del Garante sulla possibilità dei datori di richiedere i dati vaccinali ai propri dipendenti per farli tornare a lavorare in sicurezza. L’Agenzia delle entrate, ad esempio, fatica spesso a incrociare i dati dei contribuenti proprio per i vincoli imposti dal Garante; e perfino i sindaci che vorrebbero rendere accessibili i loro servizi telematici ai cittadini non residenti si ritrovano bloccati dai dinieghi dell’authority. Un rigore che sarà certo dettato da scrupoli di merito, in una fase in cui, complici anche le riforme connesse al Recovery plan, il trasferimento di dati sensibili su piattaforme digitali è notevole come mai in passato. E però spesso questo incapricciarsi su dettagli, questo rallentare sulla concessione di autorizzazioni e pareri, sembra diventare quasi un ostruzionismo generalizzato che porta a grosse perdite di tempo: e il tempo, nella realizzazione dei progetti del Pnrr, è una variabile non negoziabile con quell’Europa che deve concederci i fondi.

 

E si capisce allora perché il più preoccupato di questo stillicidio di obiezioni e di rinvii sia proprio Colao. Non solo per quel che riguarda il potenziamento dello Spid (il sistema che gestisce l’identità digitale) o per l’app “Io”, quella su cui sarà visibile il “green pass” per gli spostamenti dei vaccinati. Lo spauracchio vero è dovuto al fatto che dal suo ministero passa uno dei cambiamenti di sistema alla base della semplificazione normativa necessaria al Pnrr: e cioè quello che mira all’interoperabilità delle banche dati e che dovrebbe dunque consentire alle piattaforme dei vari enti pubblici coinvolti nella realizzazione dei progetti del Piano di comunicare tra loro in modo lineare. E farlo con un Garante che vuole essere “ente certificatore di tutti gli algoritmi”, rischia di essere davvero difficile.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.