giustizialismo grillino

Così Bonafede, in mezzo al guado, chiede a Conte di mediare con la Cartabia

Valerio Valentini

L'ex ministro non vuole abrogare se stesso, ma i numeri per la resistenza grillina sulla prescrizione non ci sono. Il Pd: "Basta con gli arroccamenti". E allora nel M5s si spera nell'intervento di Giuseppi. Intanto venerdì vertice a Via Arenula sulla riforma del Csm

L’idea dell’incontro, ancora da definire, pare sia venuta proprio a lui, quell’Alfonso Bonafede che di Giuseppe Conte è stato figlioccio in Accademia e padrino in politica, e che di Marta Cartabia è predecessore riluttante. E pare insomma sia un po’ per la sua  paura di restare lì, schiacciato nella morsa tra quel che è stato e quel che dovrà essere, che il fu dj Fofò ha deciso che forse è il caso di defilarsi un poco, chiedendo proprio all’ex premier di confrontarsi direttamente con la responsabile di Via Arenula.

 

La quale, dal canto suo, procede con una implacabile flemma, un misto di cautela e di risolutezza che se da un lato evita gli strappi in una maggioranza assai composita, dall’altro impedisce a ciascuno di incapricciarsi più di tanto, di nascondersi dietro ai propri tatticismi. E così, mentre i senatori attendono a giorni la bollinatura della Ragioneria generale dello stato sugli emendamenti che il governo ha già presentato al progetto di riforma del processo civile, venerdì la Cartabia convocherà i rappresentanti dei vari partiti per illustrare le proposte di revisione dell’ordinamento giudiziario elaborate dalla commissione che la stessa ministra ha allestito al momento della sua nomina, volendo che a presiederla fosse il professor Massimo Luciani. E dunque si arriverà a uno dei nodi più delicati: quello della modifica dei processi elettorali in senso al Csm, e della ridefinizione dei parametri meritocratici per la valutazione dei magistrati, con l’obiettivo generale di combattere le degenerazioni correntizie tra le toghe e dare seguito all’appello recentemente rinnovato da Sergio Mattarella.

 

Poi, sempre seguendo questo cadenzato passo di corsa, all’inizio della prossima settimana è previsto un nuovo vertice per la presentazione ufficiale degli emendamenti governativi al disegno di legge sul processo penale. Ed è qui che le tensioni politiche potrebbero condensarsi. Perché le proposte avanzate dal gruppo di lavoro di Via Arenula costituiscono una sostanziale rimozione della legge che prende il nome da Bonafede. E lui infatti sta lì, in mezzo al guado, incerto tra il furore identitario degli irriducibili del travaglismo (“Mi chiedono addirittura di disertare il tavolo con la ministra. Ma come potrei?”, s’è sfogato lo sventurato, giorni fa), e la fredda eloquenza dei numeri. “Noi del Pd le nostre proposte, anche sulla prescrizioni, le abbiamo già annunciate”, allarga le braccia Alfredo Bazoli, capogruppo dem in commissione Giustizia. Come a ribadire che no, stavolta di soccorsi rossi a sostegno del M5s non potranno arrivarne.

 

Anche per questo, a dispetto delle pose recitate, i ministri grillini hanno provato a convincere Bonafede che “i cambiamenti è meglio governarli, che subirli”. E anche per questo la scorsa settimana il deputato grillino s’è recato a Via Arenula, per confrontarsi con la ministra. A lei ha ribadito che delle due proposte di revisione della “Spazzacorrotti”, quella che introduce la prescrizione processuale è impraticabile per il M5s. Provocando, con questo, una certa sorpresa dalle parti del Nazareno, dove quell’ipotesi era stata prospettata  proprio come una mediazione indolore per i grillini. Resta dunque l’altra via: quella che porta alla definizione di fasi processuali certe, e che dunque, nei fatti, obliterebbe in modo ancor più deciso la riforma Bonafede. Il quale lascia intendere che però il massimo che il M5s potrà accettare è il lodo avanzato mesi fa da Federico Conte di Leu: una revisione minimale della “Spazzacorrotti” che non verrebbe mai accettata da Iv, FI e Lega. E che pure nel Pd genererebbe parecchi malumori, a giudicare dalla nettezza con cui il deputato Carmelo Miceli prova quasi a catechizzare i colleghi del M5s: “Se si isolano nella difesa dei loro totem, commettono un errore”.

 

E del resto la Cartabia è stata chiara. Ci si confronta e si discute, certo, ma al dunque bisogna arrivarci entro fine giugno, quando il disegno di legge dovrà approdare in Aula, anche perché in ballo c’è il rispetto delle scadenze europee per il Recovery. Che fare? Ecco allora l’ipotesi di chiedere a Conte di assumersi fino in fondo la responsabilità del suo ruolo di leader del M5s. “Perché non chiediamo a lui di confrontarsi con la minitra, di trovare una soluzione?”. Questo, ieri, si chiedevano un paio di parlamentari grillini che seguono il dossier, commentando il post con cui l’ex premier ha provato a ribadire la linea dell’intransigenza sulla giustizia, contraddicendo almeno in parte la svolta garantista di Luigi Di Maio. Che a sua volta, dopo aver lanciato il sasso nello stagno, si ritrae dietro la sua compostezza di ministro degli Esteri che parla di Libia e di futuro del Mediterraneo. “Se davvero Conte vuole impuntarsi sulla prescrizione, vada avanti lui”, se la ridevano intanto i fedelissimi de capo della Farnesina.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.