Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione (LaPresse)

Le reazioni

I concorsi pubblici di Brunetta non piacciono ai giovani. Le ragioni di chi protesta

Ruggiero Montenegro

Una petizione contro la riforma ha superato le 16 mila sottoscrizioni in pochi giorni: "Non premia il merito, penalizza i neolaureati e viola la Costituzione". Una proposta alternativa e il rischio ricorsi

Dovrebbe essere l'occasione per sbloccare la Pubblica amministrazione, per rinnovarla attraverso un'iniezione di forze fresche, nuove competenze e professionalità. Invece, il rischio ora è quello di trovarsi di fronte all'effetto opposto, con i concorsi pubblici risucchiati in un vortice di proteste e carte bollate, tra petizioni, accuse di incostituzionalità e "minacce" di ricorsi. L'oggetto della contesa sono le nuove norme che dovrebbero regolare le procedure concorsuali, introdotte dal decreto legge n. 44 dell’1 aprile 2021, che si inseriscono nell'orizzonte più ampio della riforma della Pa guidata dal ministro Renato Brunetta.

 

“La riforma Brunetta coglie effettivamente una necessità, che è quella di accelerare e sbloccare i concorsi. Snellire e accelerare le preselezioni. Ma lo fa nel modo sbagliato", ci dice Davide Lecca - che ha lanciato su Change.org la petizione No ai concorsi per titoli - No alla Riforma Brunetta - "Un'iniziativa individuale, ma ha avuto un grande seguito. Lo scopo era quella di far luce sul tema e stimolare un dibattito", ci spiega. In pochi giorni la petizione ha superato le 16 mila sottoscrizioni ed è supportata da varie associazioni e comitati. Per i quali il problema è più di metodo più che di merito: "Ben vengano temi come il decentramento e la digitalizzazione, siamo ormai nel 2021. Ma il decreto presenta alcune criticità", aggiunge. Quali? "Il problema principale è l'articolo 10 del decreto: la nuova modalità cancella infatti la pre-selezione che veniva svolta attraverso quiz di logica, o altre materie come diritto costituzionale e amministrativo, inerenti alla mansione per cui si andava a concorrere". E adesso invece?  "Si va per titoli, con la conseguenza, proprio per il fattore tempo, che ad essere esclusi saranno i neo laureati o quanti, a prescindere dall'età, non hanno potuto investire in formazione e in master, per ragioni economiche o personali, o per qualsiasi altro motivo".

 

Non solo. Secondo i firmatari, l'articolo 10 del decreto "è un insulto alla Costituzione, va cambiato. Viola gli articoli 4, 97 e 51, come abbiamo scritto nella petizione. E anche la valutazione per titoli di servizio è un problema. Come fa un giovane a maturare questi titoli se ha appena finito di studiare?", si chiede ancora Lecca e aggiunge: "In questo modo si finisce per regolarizzare quelli che sono precari oggi, e creare nuovi precari, i precari di domani. Noi vorremmo che la selezione fosse basata sul merito, ma non è questo il modo di premiare il merito".  E quale sarebbe allora la soluzione, c'è qualcosa in cantiere? "Nella petizione - conclude Lecca - proponiamo il 'Piano straordinario per la formazione e l'occupazione di 100.000 giovani' elaborato dall'associazione Giovani Energie Meridionali (Gem)".

 

Gem è una della realtà che ha sottoscritto da subito le ragioni della protesta, impegnata da anni sui temi della Pa. In cosa consiste questa proposta? "Il piano che abbiamo presentato nel dicembre 2019 presso la Corte di cassazione, insieme al prof. di Diritto amministrativo Sergio Perongini, prevedeva una netta velocizzazione dei tempi concorsuali, attraverso una selezione per titoli di studio, diploma e laurea, e due prove, lo scritto e l'orale", racconta al Foglio Giancarlo Cirillo, presidente dell'associazione. "Il modello di riferimento è la legge 285 varata negli anni 80 per rispondere alle esigenze dello spopolamento del Sud e del problema relativo all’occupazione giovanile".

 

Ci spieghi meglio: "La nostra proposta era stata elaborata sulla base dei dati della pubblica amministrazione stessa, tenendo conto dello sblocco del turnover, e della necessità di immettere nel sistema 100 mila nuovi lavoratori". Un numero che si ritrova anche nella riforma Brunetta, che ha indicato l'ingresso di 500.000 lavoratori in 5 anni. Ma come si realizza? "Nel 2019 avevamo stimato un costo annuo per formazione e occupazione intorno ai 3 miliari di euro, che comprendevano sia uno stipendio per chi accedeva al piano, intorno ai due mila euro mensili, sia i costi concorsuali. Inoltre la nostra proposta - conclude il presidente di Giovani energie meridionali - prevede che dalla pubblicazione del bando all'immissione, all'entrata in servizio, potevamo passare un tempo massimo tra i 6 e i 9 mesi.”

 

Intanto l'hashtag #ugualiallapartenza, lo slogan che raduna le ragioni del no alla riforma, continua a crescere sui social, dove sono nati vari gruppi allo scopo di organizzare le singole iniziative e creare un ponte con la politica. Anche se non è ancora chiaro se questo slancio riuscirà a essere effettivamente canalizzato in forme di dissenso più concrete o istituzionali. Nei giorni scorsi era stato Nicola Fratoianni, deputato di Sinistra italiana, a rispondere all'appello, seguito da esponenti del Pd e del Movimento 5 stelle. Ma sull'altro fronte, Brunetta tira dritto: "Non ci sono più alibi e non c'è più tempo, i paladini dell'immobilismo se ne facciano una ragione", ha twittato.