Prepararsi al picco. Ma come?

Draghi e la pandemia: non è più tempo di mezze misure

Claudio Cerasa

Il decisionismo mostrato sui nomi (via Borelli, via Arcuri,  poi arriverà Remuzzi) non è ancora pari al decisionismo che occorrerebbe contro la terza ondata. Per avvicinarsi alla luce, ora servono chiusure preventive

Nell’approccio scelto da Mario Draghi per la gestione della pandemia, vi sono due fattori importanti che emergono dalle prime mosse e che meritano di essere studiati con attenzione. Il primo fattore, risolutivo, riguarda la scelta dei nomi. Nel giro di pochi giorni, Draghi ha marcato una discontinuità netta con il governo precedente e ha fatto saltare i due nomi che gestivano la macchina dell’emergenza pandemica. La scorsa settimana è saltato Angelo Borrelli, sostituito alla guida della Protezione civile da Fabrizio Curcio, e ieri è saltato il commissario Domenico Arcuri, sostituito dal generale di Corpo d’armata Francesco Paolo Figliuolo (la prossima nomina riguarderà il consigliere speciale sulla Sanità che Draghi porterà a Palazzo Chigi: a quanto risulta al Foglio, sarà il professor Giuseppe Remuzzi).

 

Il secondo approccio da studiare, meno deciso rispetto al primo, riguarda invece la scelta della strategia da seguire per governare quella che dovrebbe essere l’ultima ondata di contagi prima della vaccinazione di massa. Da giorni, sul suo tavolo a Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio ha ben in vista un report allarmante che segnala quello che ormai sembra essere chiaro a tutti: a metà marzo, l’Italia si ritroverà a fare i conti con un nuovo picco di positivi, anche a causa della variante inglese che contagia a una velocità superiore del 39 per cento rispetto a quella originaria, e se il nostro paese non seguirà il metodo europeo è probabile che l’Italia sarà costretta a far avvicinare al rosso le regioni non prima del picco ma subito dopo.

 

L’approccio europeo è quello seguito dalla Germania (che pur avendo 7 mila casi al giorno ha scelto di rinviare ancora l’allentamento di un lockdown iniziato a dicembre con tanto di chiusura delle scuole), è quello seguito dalla Francia (che da ottobre costringe i bar e i ristoranti alla chiusura ininterrotta) ed è un approccio che prevede uno schema diverso dal passato: si interviene non quando la frittata è fatta, ma un po’ prima che questo accada. Le mezze misure, ha detto negli ultimi giorni la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, suscitando molte polemiche, non servono più. E per questo la prima cittadina parigina ha proposto, per la sua città, un lockdown duro di “almeno tre settimane”, subito, per provare a tornare a una sorta di normalità in primavera, quando è prevista, in Francia come in Italia, la fase più importante della vaccinazione di massa. Draghi sa bene che una scelta del genere sarebbe probabilmente giusta anche per l’Italia ma sa anche bene che chiudere quando si può e non quando si deve sarebbe una scelta più divisiva del licenziamento di Arcuri (le non chiusure le chiede non solo l’Infiltrato, Matteo Salvini, ma le chiede anche il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, e persino il solitamente prudente Dario Franceschini da ministro continua a offrire messaggi contraddittori, promettendo per fine mese la riapertura dei cinema e dei teatri).

 

E’ possibile dunque che Draghi decida di arrivare alla chiusura graduale dell’Italia quasi per inerzia, affidandosi cioè di volta in volta alle ordinanze del ministro della Salute (nel nuovo dpcm sarà prevista, come da richiesta del Cts, preoccupato per il numero di contagi tra i più giovani procurati dalla variante inglese, la chiusura di tutte le scuole per le regioni che si trovano nelle zone rosse). Ma se così sarà, la scelta di Draghi sarà non in linea con il decisionismo mostrato su Arcuri, su Borrelli e sui vaccini e sarà una scelta che la luce in fondo al tunnel piuttosto che avvicinarla rischia di allontanarla un po’. “La situazione è seria – ci dice al telefono il ministro Roberto Speranza – per via dell’impatto delle varianti sulla curva del contagio. Sarebbe bello dire che non c’è nessun problema. Ma le istituzioni hanno l’obbligo di dire la verità. Le prossime settimane saranno difficili e servono scelte conseguenti”. Poche chiacchiere, molte scelte e niente mezze misure: la vera discontinuità di Draghi in fondo passa anche da qui (a proposito: servono davvero le zone arancioni?) e dalla capacità di riuscire a governare un problema non quando si deve ma quando si può.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.