l'intervista

"Più 5G e meno cashback". La ricetta del viceministro Pichetto per cambiare il Recovery

Valerio Valentini

Il colloquio col senatore di Forza Italia, appena entrato al Mise. "Bisogna superare la logica interventista e assistenzialista: coi sussidi non andiamo lontano. E sulle riforme, finalmente ora appare chiara la virtù del 'ce lo chiede l'Europa'". 

L’emozione del giuramento non è stata ancora del tutto smaltita quando Gilberto Pichetto Fratin risponde al telefono. “Neppure il tempo di prendere confidenza col nuovo ufficio e già mi chiedete di intervenire?”, prova a schermirsi lui, con garbo sabaudo, ma sapendo che appena prenderà servizio al Mise, dove è stato nominato viceministro per Forza Italia, si troverà squadernati, tra gli altri, anche i problemi connessi al Recovery plan. “Ma su quelli non si parte da zero”, ci dice Pichetto, “perché quando eravamo all’opposizione abbiamo svolto un lungo lavoro di analisi delle vecchie bozze del governo Conte, segnalandone le numerose storture e le molte mancanze”.

 

E dunque insomma si capisce che qualche cambiamento se lo aspetta, il viceministro Pichetto, nel nuovo Piano di ripresa e resilienza. “La maggioranza non è cambiata invano, e dunque neppure il piano potrà restare lo stesso”. Cambiare, insomma. Ma come? “Intanto su due approcci di metodo. Il primo ha a che vedere col nostro rapporto verso l’Europa. Bruxelles si aspetta due importanti riforme preliminari, sulla pubblica amministrazione e sulla giustizia civile, su cui non possiamo permetterci né ritardi né passi falsi. Siamo alla riscoperta del valore del vincolo esterno, della virtuosità del ‘ce lo chiede l’Europa’”, spiega Pichetto, commercialista biellese classe ’54, una vita da colonnello del Cav. in Piemonte prima dell’elezione in Senato nel 2018. “Accanto a questo - prosegue - va posta l’attenzione sulla nostra capacità di spesa: i fondi strutturali che vengono dall’Ue, relativi al settennato 2014-2021, sono rimasti inutilizzati per il 50 per cento. E’ inaccettabile”.

 

Questo, dunque, il metodo. E sui progetti? “Vanno individuati dei filoni strategici dello sviluppo del paese. Uno dei più importanti è il 5G, a mio avviso: sui progetti legati alla nuova connettività va investito di più e meglio. Dopodiché, anche le infrastrutture per così dire tradizionali meritano attenzione e finanziamenti. In particolare il trasporto su ferro, che garantisce vantaggi anche in termini ecologici. L’alta velocità è fondamentale: va estesa a tutto il paese, da nord a sud, con ricadute positive sulla crescita fino al 3 per cento sul pil”. 

 

Quanto all’approccio generale, nelle vecchie bozze del Pnrr Pichetto riscontra fondamentalmente due problemi. “Il primo ha a che vedere con una concezione troppo interventista dello stato. Ben vengano gli investimenti pubblici, ma in una prospettiva nuova che favorisca investimenti privati di valore e su larga scala. Da questo punto di vista, ho trovato assai opportune le riflessioni che il presidente del Consiglio ha svolto nel suo discorso al Senato sulla crescita del capitale umano. L’Italia ha un enorme bisogno di tornare a investire nelle capacità, a partire dalla scuola e dalle università. Il progetto sugli Istituti tecnici superiori d’eccellenza va ripreso e potenziato: serve a garantire al mercato del lavoro dei giovani formati e preparati, aumentando così la produttività delle nostre imprese e riducendo al contempo la disoccupazione tra gli under 30”. E l’altra questione di fondo? “Meno assistenzialismo, direi. Ricordiamoci che i fondi del Recovery sono una tantum: se li dirottiamo sui sussidi, oltre a rischiare di vederci negate le erogazioni da Bruxelles, rischiamo comunque di produrre benefici di corto respiro, destinati a estinguersi con la fine del progetto del Next Generation Eu. In questo senso, credo ad esempio che i 4,5 miliardi destinati al cashback siano davvero troppi. E anche sul reddito di cittadinanza va aperta una riflessione seria: la parte relativa al sostegno al reddito è stata preziosa in questi mesi di crisi, ma la fase due del progetto, quella relativa alle politiche attive, non è mai davvero iniziata. E qui si rientra nella spirale assistenzialista, dunque, e non va bene”.

 

Bisognerà accapigliarsi non poco, col M5s, su questi argomenti. “E’ un governo particolare, questo, guidato da una personalità eccezionale ma retto da una maggioranza davvero ampia ed eterogenea. Non deve prevalere la logica della contrapposizione, ma neppure ci si può illudere di scansare gli argomenti più controversi, perché spesso sono semplicemente ineludibili. Arroccarsi ciascuno intorno ai propri totem non aiuta. E anche da qui, forse, passa il cambiamento necessario”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.