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Uno stato da Draghi

Claudio Cerasa

C’è il debito buono, sì, ma c’è anche lo stato buono: quello che crea competizione. Cosa farà Draghi su prescrizione, Alitalia, Atlantia, licenziamenti e rete unica? Un filo conduttore, con qualche notizia

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Un altro stato è possibile? Tra gli ambiziosi obiettivi presenti sulla strada del governo Draghi, esistono due categorie di problemi di fronte alle quali si troverà presto la maggioranza che sostiene l’ex governatore della Bce. La prima categoria di problemi  ha a che fare con quelle che il presidente del Consiglio considera  le due principali missioni di questo governo e le missioni sono tanto complicate da realizzare quanto facili da immaginare: offrire all’Italia un Recovery plan che possa permettere al nostro paese di viaggiare su binari sicuri per i prossimi sei anni (una volta approvato dalla Commissione, il Recovery plan sarà praticamente intoccabile per i sei anni successivi) e mettere l’Italia nelle condizioni migliori per vaccinare la sua popolazione il più presto possibile (nonostante i ritardi accumulati dall’Europa, all’Italia arriveranno 50 milioni di dosi entro giugno, una quantità sufficiente a vaccinare entro l’estate il 70 per cento della popolazione adulta). La seconda categoria di problemi – oltre al problema delle chiusure necessarie per governare la pandemia, tema sul quale Mario Draghi sarà ancora più rigido rispetto al suo predecessore: sorry Matteo, niente liberi tutti – è quella che ha a che fare con i problemi più politici da risolvere. E all’interno di questa categoria ci sono almeno cinque temi che presto o tardi arriveranno in superficie come capita sempre quando un pettine incontra un nodo tra i capelli. In questo quadro, il primo problema riguarda la rete unica (farla?), il secondo  riguarda Alitalia (a chi darla?), il terzo riguarda Autostrade (a che prezzo comprarle?), il quarto riguarda lo sblocco dei licenziamenti (rinviarlo?), il quinto riguarda il futuro della prescrizione (affrontarlo?). 

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Un altro stato è possibile? Tra gli ambiziosi obiettivi presenti sulla strada del governo Draghi, esistono due categorie di problemi di fronte alle quali si troverà presto la maggioranza che sostiene l’ex governatore della Bce. La prima categoria di problemi  ha a che fare con quelle che il presidente del Consiglio considera  le due principali missioni di questo governo e le missioni sono tanto complicate da realizzare quanto facili da immaginare: offrire all’Italia un Recovery plan che possa permettere al nostro paese di viaggiare su binari sicuri per i prossimi sei anni (una volta approvato dalla Commissione, il Recovery plan sarà praticamente intoccabile per i sei anni successivi) e mettere l’Italia nelle condizioni migliori per vaccinare la sua popolazione il più presto possibile (nonostante i ritardi accumulati dall’Europa, all’Italia arriveranno 50 milioni di dosi entro giugno, una quantità sufficiente a vaccinare entro l’estate il 70 per cento della popolazione adulta). La seconda categoria di problemi – oltre al problema delle chiusure necessarie per governare la pandemia, tema sul quale Mario Draghi sarà ancora più rigido rispetto al suo predecessore: sorry Matteo, niente liberi tutti – è quella che ha a che fare con i problemi più politici da risolvere. E all’interno di questa categoria ci sono almeno cinque temi che presto o tardi arriveranno in superficie come capita sempre quando un pettine incontra un nodo tra i capelli. In questo quadro, il primo problema riguarda la rete unica (farla?), il secondo  riguarda Alitalia (a chi darla?), il terzo riguarda Autostrade (a che prezzo comprarle?), il quarto riguarda lo sblocco dei licenziamenti (rinviarlo?), il quinto riguarda il futuro della prescrizione (affrontarlo?). 

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Abbiamo passato un po’ di tempo a parlare con alcune persone vicine a questi dossier e per quanto sia ancora presto per trarre conclusioni, l’impressione che ne abbiamo ricavato è che su ciascuno di questi temi il presidente del Consiglio sia intenzionato a farsi guidare da un principio che più che a un valore somiglia a un filo conduttore: lo statalismo buono, quello cioè che crea le condizioni giuste per alimentare la competizione, non per soffocarla. Se il modello di stato imprenditore che Mario Draghi ha in testa verrà applicato alla lettera nelle cinque partite appena elencate è possibile che le intenzioni che ha oggi il premier possano trasformarsi in realtà.

   

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La prima intenzione riguarda la rete unica e nonostante l’illusione coltivata da Cdp (che ha voluto nominare nel cda di Tim un pezzo da novanta come Giovanni Gorno Tempini) l’idea di Draghi sembra essere la stessa di Vittorio Colao (il cui ministero da ieri ha il coordinamento della strategia italiana per la banda ultra larga): sulla banda larga, la priorità del paese è puntare sul 5G e per puntare sul 5G avere delle reti in competizione è una strategia migliore rispetto all’avere due reti che si fondono (Cdp in Tim sì, in Open Fiber si vedrà). Il secondo problema riguarda Alitalia e su questo punto le intenzioni del premier (condivise anche dal ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti) sono molto chiare: lo stato in Alitalia può avere un futuro solo a condizione che la quota di maggioranza dell’ex compagnia di bandiera venga venduta nel giro di pochi mesi a Lufthansa (ci sono problemi sugli aiuti di stato, ma in pandemia non c’è problema sugli aiuti di stato che non si possa risolvere: ieri la Commissione europea ha persino approvato l’aiuto di stato italiano da 40 milioni di euro “da destinare alle attività di ricerca e sviluppo dell’impresa biotecnologica ReiThera”). Il terzo problema riguarda Autostrade e su questo punto è possibile che se Atlantia non riterrà sufficiente l’offerta da 8 miliardi di euro ricevuta da Cdp-Blackstone-Macquarie per rilevare l’88 per cento di Autostrade per l’Italia (ieri Spinecap, azionista di minoranza di Atlantia, ha invitato il board della holding a respingere l’offerta) non ci sarà un’altra proposta al rialzo da parte di Cdp.

 

Il quarto problema riguarda il tema del lavoro e su questo punto le indicazioni offerte da Draghi al ministro Andrea Orlando al momento sono queste: uscire dal blocco dei licenziamenti con uno scaglionamento per settori, sbloccando subito i settori meno colpiti dalla crisi (industria e costruzioni, settori dotati tra l’altro di una propria cassa integrazione ordinaria e che non avrebbero bisogno di ricorrere a una cig-Covid), sbloccando in una fase successiva i settori più colpiti dalla crisi (i servizi) e prorogando la cig gratuita fino alla fine del 2021 (si potrà tornare a licenziare, a poco a poco, ma ci saranno protezioni). 

 

L’ultimo punto, politicamente forse il più delicato, riguarda la prescrizione e su questo la strada per sminare le controversie è difficile ma è tracciata: uscire dalla diatriba “prescrizione sì e prescrizione no”, attrezzarsi per una riforma che permetta di ridurre il campo di applicazione della sospensione, mantenendo la prescrizione solo per i reati maggiori e rendendo possibile il blocco solo a una condizione: che i pm rispettino nella fase delle indagini alcuni precisi vincoli temporali. Lo stato buono è quello che crea innovazione, che stimola la concorrenza, che favorisce la competizione e che genera fiducia. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il vaccinare, ma le intenzioni sono buone e essere ottimisti forse si può.

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