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Big bang M5s: in Senato Lega e Fi pesano di più e i grillini avranno meno posti al governo

Luca Roberto

Le espulsioni rimescolano le carte a Palazzo Madama: Pd e cinque stelle non hanno più la maggioranza relativa. La lenta emorragia di senatori dall'inizio della legislatura e il post di Grillo per rallentare la decomposizione del Movimento

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Roma. Chi ha memoria della profezia sul M5s, “partito biodegradabile”, si appunti l’inizio di questo processo. L’istante in cui Nicola Morra, che ha appena negato la fiducia al governo Draghi, esce da Palazzo Madama alla mezzanotte di mercoledì con le palpebre umettate e confessa che “è una situazione che non mi mette a mio agio, ma ci sono momenti in cui bisogna anche rimanere soli. Dovrò riflettere, mi sento cinque stelle nel sangue e nel midollo”. Poco meno di dieci ore più tardi l’epilogo: Vito Crimi comunica l’espulsione del presidente della commissione Antimafia e degli altri 14 senatori che hanno votato in dissenso, perché “sono venuti meno all’impegno del portavoce del Movimento che deve rispettare le indicazioni di voto provenienti dagli iscritti”. Un tentativo disperato di dissuadere chi alla Camera vorrà emularli. Tentativo non proprio riuscito, visti i no a Montecitorio. 

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Roma. Chi ha memoria della profezia sul M5s, “partito biodegradabile”, si appunti l’inizio di questo processo. L’istante in cui Nicola Morra, che ha appena negato la fiducia al governo Draghi, esce da Palazzo Madama alla mezzanotte di mercoledì con le palpebre umettate e confessa che “è una situazione che non mi mette a mio agio, ma ci sono momenti in cui bisogna anche rimanere soli. Dovrò riflettere, mi sento cinque stelle nel sangue e nel midollo”. Poco meno di dieci ore più tardi l’epilogo: Vito Crimi comunica l’espulsione del presidente della commissione Antimafia e degli altri 14 senatori che hanno votato in dissenso, perché “sono venuti meno all’impegno del portavoce del Movimento che deve rispettare le indicazioni di voto provenienti dagli iscritti”. Un tentativo disperato di dissuadere chi alla Camera vorrà emularli. Tentativo non proprio riuscito, visti i no a Montecitorio. 

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Il grande romanzo della scissione grillina, sempre e solo finora abbozzato, non potrà che avere per frontespizio l’immagine di Mario Draghi. E del resto anche quelli che la fiducia alla fine l’hanno ottriata, come Danilo Toninelli, si affrettavano a difendere i dissidenti, gente “da comprendere”. Semplicemente “non hanno sopportato una sofferenza eccessiva. Spero che non vengano espulsi”. Quasi il sostegno accordato all’ex presidente della Banca centrale europea potesse provocare il burnout tipico di chi si ritira da teatri di guerra. E però in questo dramma pacchiano, un barlume di lucidità sembrava quasi di intercettarlo in Mattia Crucioli, uno degli eretici sin dai tempi della leadership Di Maio. “Mi sembra una decisione corretta e lineare da parte del Movimento. Del resto le nostre posizioni sono politicamente diverse, un abisso. Mi sembra giusto che le nostre strade si separino”, dice in mattinata. Ma si capisce che sarà una voce isolata. 

 

Il resto è tutto un tourbillon tra chi minaccia di adire le vie legali (Elio Lannutti: “Faremo ricorso), chi ignora gli effetti dell’espulsione (Mattia Mantero: “mi imbullonerò al mio posto”), chi rilancia indefesso la scalata ostile ai vertici (Barbara Lezzi: “la cacciata dal gruppo parlamentare non equivale a quella dal movimento”). Perché a complicare l’intreccio c’è pure il vizio di forma del nuovo Statuto. Con gli iscritti a Rousseau che non più tardi di due giorni fa a un capo politico hanno preferito una guida collegiale composta da cinque membri. Il soglio cui ambiva anche Alessandro Di Battista prima di tirare la corda. Crimi, che ha deciso le epurazioni, è ancora da considerarsi in carica? Grillo dice di sì ma sono in molti ad avere dubbi

 

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E poi le inquietudini, dissimulate da un’intransigenza di facciata (“dispiace, ma lo statuto è chiaro”, dirà Fraccaro. “Il Movimento non morirà per 15 senatori che se ne vanno”, ribadirà Airola) riaffiorano a galla nel momento in cui l’algebra prevale sui cenni di teoria politica: per la prima volta dall’inizio della legislatura Pd e M5s hanno portato alla causa Draghi una maggioranza relativa (112 voti) inferiore a quella garantita da Lega e Forza Italia (115). Senza contare che nel 2018 il Movimento aveva 135 senatori, e adesso dovrà accontentarsi di un numero di sottosegretari inferiore a quanto gli spettasse solo l’altro ieri. A maggior ragione se gli scissionisti dovessero raccogliersi dietro un nuovo simbolo, che potrebbe essere quello dell’Italia dei Valori. Intanto il Movimento continua a perdere pezzi in entrambe le Camere. E la faccenda rischia di ingolfare le aule dei tribunali (si confida almeno in una “durata dei processi ragionevole in linea con la Ue”, come rimarcato da Draghi). Torsioni che hanno convinto Beppe Grillo a rilasciare uno scritto sul blog per tamponare la ferita e dire che “i grillini non sono più dei marziani”. Servirà a ritardare il sommario di decomposizione grillina?

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