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Lo Stato secondo Draghi

Luciano Capone

I limiti del perimetro pubblico, il piano vaccini, la riforma della Pa. Il premier delinea un nuovo rapporto tra stato e cittadini: più sussidiarietà e concorrenza, meno dirigismo e centralismo

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Nel primo e articolato discorso di Mario Draghi da presidente del Consiglio è presente una traccia che indica un cambiamento nel modo di intendere il rapporto tra stato e cittadini, tra stato e mercato, tra stato e società. Questa diversa sensibilità è apparsa all’inizio del suo intervento, quando Draghi si è rivolto a “coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per motivi sanitari”, dicendo che il governo si impegnerà “a fare di tutto perché possano tornare nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro diritti, alla normalità delle loro occupazioni”. Le riaperture delle attività economiche nel linguaggio del governo Conte erano spesso accompagnate da termini come “concesso” e “permesso”, mentre ora Draghi parla di “riconoscimento dei diritti” di chi lavora. Nella sostanza potrebbe non cambiare molto se la diffusione del contagio dovesse costringere il governo a ulteriori restrizioni, ma nella scelta lessicale il passaggio da un diritto ottriato a uno riconosciuto non è banale. E questa attenzione è sottolineata anche nel passaggio successivo, quando il premier afferma l’impegno quantomeno a “informare i cittadini con sufficiente anticipo di ogni cambiamento nelle regole”. Anche nella gestione della pandemia, i cittadini non possono essere trattati da sudditi.

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Nel primo e articolato discorso di Mario Draghi da presidente del Consiglio è presente una traccia che indica un cambiamento nel modo di intendere il rapporto tra stato e cittadini, tra stato e mercato, tra stato e società. Questa diversa sensibilità è apparsa all’inizio del suo intervento, quando Draghi si è rivolto a “coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per motivi sanitari”, dicendo che il governo si impegnerà “a fare di tutto perché possano tornare nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro diritti, alla normalità delle loro occupazioni”. Le riaperture delle attività economiche nel linguaggio del governo Conte erano spesso accompagnate da termini come “concesso” e “permesso”, mentre ora Draghi parla di “riconoscimento dei diritti” di chi lavora. Nella sostanza potrebbe non cambiare molto se la diffusione del contagio dovesse costringere il governo a ulteriori restrizioni, ma nella scelta lessicale il passaggio da un diritto ottriato a uno riconosciuto non è banale. E questa attenzione è sottolineata anche nel passaggio successivo, quando il premier afferma l’impegno quantomeno a “informare i cittadini con sufficiente anticipo di ogni cambiamento nelle regole”. Anche nella gestione della pandemia, i cittadini non possono essere trattati da sudditi.

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Il ruolo centrale ma non centralizzatore dello stato è evidente anche riguardo alla sfida immediata più importante insieme al Recovery plan: il piano di vaccinazione. Draghi chiede il coinvolgimento delle realtà pubbliche e private radicate sul territorio e finora escluse, come la Protezione civile e i volontari, e una presenza capillare dei centri vaccinali: “Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private”.  Inoltre per Draghi bisogna fare tesoro degli errori fatti sui tamponi “che, dopo un ritardo iniziale, sono stati permessi anche al di fuori della ristretta cerchia di ospedali autorizzati”. Dalla velata critica alle primule (“luoghi specifici” e “ancora non pronti”) alla richiesta di un maggiore coinvolgimento di altre realtà, è evidente che il piano che Draghi ha in mente è ispirato ai princìpi di sussidiarietà orizzontale e verticale, che è l’opposto di quello centralista di Arcuri.

 

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In un contesto in cui, a causa della crisi sanitaria ed economica, si chiede alla mano pubblica di fare di più e molte più cose, Draghi riconosce che è necessario intervenire su molti fronti (ambiente, scuola, sanità, disuguaglianze, politiche attive), ma mette in guardia sui pericoli di un’eccessiva estensione delle competenze statali. “Il ruolo dello stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione. Compito dello stato è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell’istruzione e della formazione, della regolamentazione, dell’incentivazione e della tassazione”. La necessità di una delimitazione del perimetro statale indica che non bisogna sottovalutare i rischi dello statalismo, e non a caso le modalità d’intervento indicate sono quelle storicamente più neutrali (regolamentazione, tassazione e incentivazione) e meno dirigiste rispetto alle invocazioni di un ritorno dello “stato imprenditore”. In questo senso, più che aumentare le competenze statali, è importante far svolgere meglio quelle che già ora sono affidate alla Pubblica amministrazione: dalla scuola alla sanità passando per la giustizia. Nel nuovo rapporto tra stato e cittadino viene presentata l’urgenza di una riforma della Pa: “La fragilità del sistema delle pubbliche amministrazioni e dei servizi di interesse collettivo è, tuttavia, una realtà che deve essere rapidamente affrontata” attraverso “investimenti in connettività”, “aggiornamento continuo delle competenze dei dipendenti pubblici” e migliorando la selezione delle assunzioni.

 

L’altra importante novità, anche dal punto di vista lessicale, è il ritorno di un concetto che ormai in Italia sembrava dimenticato: concorrenza. Che Draghi ha declinato riguardo al mercato ma anche in riferimento alla parità di genere, che non può essere garantita da un “farisaico rispetto di quote rosa” imposte dall’alto bensì da una “parità di condizioni competitive tra generi” dal basso. Per ripartire non serve più stato, ma uno stato migliore. E una società più dinamica.

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