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Draghi, Conte, Renzi e un altro jazz da suonare

Giuliano Ferrara

Questo governo di alto profilo e straordinario trasformismo è un regalo del Quirinale, ma è qualcosa di diverso da una rigenerazione. Bisogna essere fiduciosi ma prima di tutto stand back and stand by

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Per me il governo Draghi è fichissimo, ma non è una rigenerazione, un passaggio d’epoca. Ai miei amici direi: cool your jazz. O alla Trump, adesso che si può tornare felicemente scorretti, visto che Salvini e Di Maio indossano i panni della più rigorosa correttezza politica e ministeriale: stand back and stand by. Ho scherzato su Twitter: Trisconte con Drago. Certo ha ragione il serissimo capo gesuita Antonio Spadaro: “Raffinato equilibrio”, ha cinguettato. In effetti Difesa Esteri e Interno, e il superministero missionario alla Salute, sono in perfetta continuità. Alla Giustizia una brava persona che deve far dimenticare anche solo il ricordo del ministro trapassato dal Conte Tacchia al Bisconte, con il timbro di Travaglio e della polizia penitenziaria di cui indossò la divisa in una celebre immagine della vendetta di stato a favore di telecamere. I dicasteri economici e di trasformazione sono in mano a tecnici prestigiosi (compreso Colao, in politica covato dal Bisconte). Giorgetti ottimo, le Trasfigurazioni sono sempre a vantaggio mistico di discepoli e apostoli.  

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Per me il governo Draghi è fichissimo, ma non è una rigenerazione, un passaggio d’epoca. Ai miei amici direi: cool your jazz. O alla Trump, adesso che si può tornare felicemente scorretti, visto che Salvini e Di Maio indossano i panni della più rigorosa correttezza politica e ministeriale: stand back and stand by. Ho scherzato su Twitter: Trisconte con Drago. Certo ha ragione il serissimo capo gesuita Antonio Spadaro: “Raffinato equilibrio”, ha cinguettato. In effetti Difesa Esteri e Interno, e il superministero missionario alla Salute, sono in perfetta continuità. Alla Giustizia una brava persona che deve far dimenticare anche solo il ricordo del ministro trapassato dal Conte Tacchia al Bisconte, con il timbro di Travaglio e della polizia penitenziaria di cui indossò la divisa in una celebre immagine della vendetta di stato a favore di telecamere. I dicasteri economici e di trasformazione sono in mano a tecnici prestigiosi (compreso Colao, in politica covato dal Bisconte). Giorgetti ottimo, le Trasfigurazioni sono sempre a vantaggio mistico di discepoli e apostoli.  

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Draghi, con la maggioranza quasi totale, ha avuto modo di controllare il Cencelli, e lo ha fatto da vero campione. Ora ha al suo fianco, per il Recovery Plan, quelli di cui si fida, e quelli di cui si fida meno sono todos caballeros. Ipertecnico e iperpolitico. Fichissimo. Ora si attende di vedere se prevarrà, in questo sublime paradosso tecnico-trasformistico, detto in senso euforico, il carisma di un uomo straordinario di cui pochi dubitano che sarà capace di spendere bene il debito buono e tenere in sicurezza conti e salute, avviando incisivamente le famose riforme che “ce le chiede l’Europa” (e ce le finanzia anche grazie a quelli che i Maramaldi canterini sbeffeggiano, in attesa di qualche centinaio di miliardi da loro contrattati a Bruxelles). Io nutro fiducia.

 

Questo governo di raffinato equilibrio, e di alto profilo, è un regalo del Quirinale, notaio della realtà alla luce della Costituzione. Voglio così bene a Renzi, il miglior politico dei tempi recenti dopo Craxi e Berlusconi e in continuità con loro, che mi permetto di non credere alle favole machiavelliche. E spero che ce la faccia a ritrovare una posizione efficace dopo essersi dissanguato in un regalo così dispendioso alla Patria, incurante della verità effettuale della cosa. Il pokerista di talento ha giocato con il solito metodo autorizzato, il bluff. Merita una parte della posta finale superiore a quanto ricava nel ministero, la pari opportunità e la fine del potere di coalizione del suo gruppo. L’amore per la nazione va bene, ma up to a point.

 

A parte i soliti gonzi della stampa estera, tra cui qualche imitatore snob attivo qui da noi, tutti sanno come sono andate le cose. Renzi parlava di Draghi, di tanto in tanto, perché suocera intendesse. Voleva legittimamente più potere e maggiore riconoscimento per sé e per le sue idee in un Bisconte creato anche da lui con una celebre faziata che chiuse la carriera del Truce (gratitudine imperitura). Il Pd voleva usarlo per scopi di bottega e sperava di non arrivare mai al punto di rottura. Ma il partito di Travaglio e i residui di odio teologico-politico verso lo scissionista “impopolare nel paese” non hanno alla fine consentito un esame lucido della situazione, tutti si sono imbrogliati in un imbroglio impalatabile per ciascuno, e la palla è passata agli effetti miracolosi di sistema che consentono la massima flessibilità trasformistica come antidoto alla demagogia, alla chiacchiera e ai percorsi stralunati dell’antipolitica.

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Il Royal Baby non ha mai messo un veto su Conte, ha usato molto il nome di Draghi, come altri, per esempio il senatore Salvini, ma non l’ha fatto a Mattarella nelle consultazioni. Draghi è uscito dal bozzolo, con l’incitamento di noi del Foglio, che lo consideravamo l’unica possibile eccezione a un meraviglioso Trisconte, come uomo della Provvidenza. Soluzione tipica e non inedita, apoteosi difficile, percorso accidentato, molte frecce nell’arco di un tipo eccezionale, auguri tantissimi.

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