PUBBLICITÁ

L’apoteosi difficile di Draghi

Giuliano Ferrara

Draghi è nelle condizioni per fare le cose meglio di chiunque altro, non sono chiari invece incisività, profondità e capacità di stimolo e disciplinamento della sua azione. Ottimisti, ma serviranno miracoli

PUBBLICITÁ

Quella di Draghi sarà un’apoteosi, roba difficile da maneggiare. Quali indicazioni abbiamo, prima della decisiva lista dei ministri e dell’altrettanto decisivo discorso del premier per la fiducia delle Camere? Il laconismo benedetto del presidente incaricato obbliga a giudicare i comportamenti. Con la missione e mandato definiti dal Quirinale, Draghi avrebbe potuto spicciarsi con le consultazioni, fare il governo e andare in Parlamento già una settimana fa (Monti giurò quattro giorni dopo le dimissioni di Berlusconi). La scelta dei tempi serrati avrebbe sottolineato l’emergenza e insieme l’autonomia da partiti e parti sociali, che ovviamente non esclude il rispetto e la ricerca del loro consenso (all’atto della fiducia Monti ebbe un larghissimo consenso, anche quella un’apoteosi). Un civil servant scelto per un esecutivo “che non rifletta alcuna formula politica” era pienamente autorizzato a questo. Invece Draghi, che come qui si dice da tempo ha un’anima politica anche nel suo intero, eccezionale curriculum di commis de l’état et de l’Europe, ha preso un’altra strada, consultando e ascoltando tutti, ma proprio tutti, fino al Wwf, in vari giri di incontri con partiti, gruppi parlamentari, società civile.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Quella di Draghi sarà un’apoteosi, roba difficile da maneggiare. Quali indicazioni abbiamo, prima della decisiva lista dei ministri e dell’altrettanto decisivo discorso del premier per la fiducia delle Camere? Il laconismo benedetto del presidente incaricato obbliga a giudicare i comportamenti. Con la missione e mandato definiti dal Quirinale, Draghi avrebbe potuto spicciarsi con le consultazioni, fare il governo e andare in Parlamento già una settimana fa (Monti giurò quattro giorni dopo le dimissioni di Berlusconi). La scelta dei tempi serrati avrebbe sottolineato l’emergenza e insieme l’autonomia da partiti e parti sociali, che ovviamente non esclude il rispetto e la ricerca del loro consenso (all’atto della fiducia Monti ebbe un larghissimo consenso, anche quella un’apoteosi). Un civil servant scelto per un esecutivo “che non rifletta alcuna formula politica” era pienamente autorizzato a questo. Invece Draghi, che come qui si dice da tempo ha un’anima politica anche nel suo intero, eccezionale curriculum di commis de l’état et de l’Europe, ha preso un’altra strada, consultando e ascoltando tutti, ma proprio tutti, fino al Wwf, in vari giri di incontri con partiti, gruppi parlamentari, società civile.

PUBBLICITÁ

 

Un governo senza formula precostituita, e con una maggioranza larga di unità nazionale, non per questo smette di essere un governo parlamentare. E Draghi si è voluto corazzare, ciò che era in suo potere e risulta molto indicativo per il futuro, di un’ampissima mozione di fiducia preventiva che non tocca il tratto tecnico della compagine che si accinge a guidare, né la sua autonomia di premier scelto dal capo dello stato e non indicato da un partito, ma lo edulcora o condiziona al dialogo serrato, attento, minuzioso con le forze politiche. Questo che cosa comporta, allo stato dei fatti e prima di conoscere la lista dei ministri e il discorso programmatico? Primo. L’operazione ha una gittata di legislatura, non sarà misurata sui famosi primi cento giorni, che furono invece la manifestazione di efficacia presto esaurita del governo Monti, nato in tutt’altro modo. Questo non significa troppo, sebbene sia indicativo di un metodo, perché a metà strada tra ora e le elezioni del 2023 c’è l’elezione del successore di Mattarella e, posto che Mattarella non succeda a sé stesso, magari pronto a abbreviare il secondo mandato secondo lo schema Napolitano, è ovvio che come garante dell’unità della nazione sotto la Costituzione e in Europa Draghi sarebbe estremamente competitivo. Ma qui scatta la seconda questione. In base al comportamento nel formare il governo, che lista dei ministri e discorso della fiducia possono correggere o qualificare altrimenti, Draghi dovrebbe dare un impulso tecnico all’attività del suo esecutivo, e impegnarsi per l’emergenza e per le riforme collegate al Recovery plan e ad antichi bisogni di questo paese.

 

PUBBLICITÁ

Dovrebbe agire sui fronti del lavoro, della formazione, della competitività e produttività del sistema economico, della giustizia civile e penale, con la novità critica dello sforzo o slancio neoambientalista, in una manifestazione di decisionismo politico e in uno spirito di superamento o rottura delle consuetudini e degli interessi consolidati, ma sempre con in mano la bussola del governo parlamentare e di una immensa maggioranza entro cui mediare le decisioni più difficili. L’apoteosi dell’emergenza e della straordinarietà ha un costo, nel caso di Monti pagato in solido nello scambio tra efficacia dei cento giorni e scatenamento di una crisi che ebbe sbocco nella prima vittoria grillina e antipolitica; nel caso di Draghi, caratterizzato da tutt’altra logica (spesa invece che austerità), il costo dell’apoteosi potrebbe non farsi sentire troppo o troppo presto o almeno essere temperato, appunto, dal metodo concertativo allargato scelto per la graduale e sapiente impostazione della maggioranza di governo.

 

Resta il fatto che, anche in una emergenza di spesa e riforma, invece che di austerità e riforma, non si afferra ancora bene fino a che punto il “debito buono” e la mutualizzazione della spesa europea riusciranno a coprire i fondamentali: qualcuno, magari pagato meglio e conservando certe garanzie, dovrà lavorare di più e sottoporsi a un vaglio serio; il lavoro improduttivo va riallocato, difeso da potenti ammortizzatori, ma non lasciato dov’è e com’è; le gigantesche situazioni di crisi aziendali devono essere risolte in regime di compatibilità con regole di mercato, per quanto in un contesto ordoliberale; se la giustizia non funziona la cosa non si risolve locupletando una casta di ulteriori benefici e guarentigie ma trasformandola insieme con le regole di condotta; i mercati sono incantati dal professore, ma il loro primo impulso di charme è la situazione di titoli, azioni, profitti e moneta ripagabile; la politica estera e europea parte da condizioni ricostruite dopo la tempesta, ed è un bene sommo, ma la Germania è alla vigilia di una fase molto critica e l’America deve passare lo scrutinio della ricostruzione dopo Trump. Insomma, se è chiaro che su ogni fronte, quello sanitario compreso, e non è poco, Draghi è nelle condizioni soggettive e oggettive per fare le cose meglio di chiunque altro, non sono chiari invece il ritmo, l’incisività, la profondità e la capacità di stimolo e disciplinamento della sua azione. Alfonso Berardinelli, osservatore indipendente e geniale della realtà, spera in un miracolo (qui, ieri). Modestamente, anch’io.

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ